Leggendo assiduamente saggi sulla storia delle religioni, mi è capitato spesso -soprattutto agli inizi- d’imbattermi in concetti e personaggi mitici con cui non avevo familiarità. La cosa più ovvia per me, come per tutti immagino, è cercare sul web ciò che non conosco, specie se mi blocca nella lettura e nella comprensione di un testo. Da subito mi sono accorta che cercare informazioni online sulle figure divine (qualsiasi figura divina) equivale a, esempio calzante, aprire il proverbiale vaso di Pandora. La rilettura del corpus religioso globale in ottica neopagana ha dato vita a veri e propri mostri, ma sarebbe forse più appropriato parlare di Chimere: per citare due esempi nel mio ambito d’interesse, le figure d’ispirazione celtica Eostre e Mabon, personificanti lo spirito pasquale e l’equinozio di autunno, semplicemente non esistono storicamente. Non sono qui a giudicare l’utilizzo culturale che poi viene fatto di queste divinità, o presunte tali: per quel che mi riguarda, la crescita personale e il messaggio di rispetto reciproco sono benvenuti sotto qualsiasi forma e con qualsiasi nome. Solo si sappia che non tutto ciò che si legge su certi siti in internet corrisponde agli attuali studi storici sulle religioni. Io cerco di fare chiarezza per me stessa e talvolta, come oggi, ne scrivo anche qui. Oggi riporto un po’ di quello che davvero sappiamo della figura denominata “triplice dea” o “divinità tripartita”…
Tre, da sempre numero magico. Uno dei segni che più spesso s’incontra quando si studiano le vestigia preistoriche europee è la tri-linea, ovvero tre linee parallele, portatrice di significato simbolico fin dal Paleolitico superiore con valore di Tre, numero che appare ripetutamente su incisioni o pitture legate al corpo della Dea, il più delle volte emanante dai suoi occhi, e che -secondo l’archeologa Gimbutas– la denotano come Dea Uccello. Il segno della tri-linea parrebbe “simboleggiare una tripla (o multipla) sostanza vitale di natura dinamica che fluisce dal corpo della Dea Uccello, la Datrice e Sostenitrice della Vita”: la tripla sorgente è correlata alla tripla Dea, un’immagine di sorprendente persistenza documentata già in un’epoca antica come la Magdaleniana e che persiste assiduamente per tutta la preistoria giungendo alla storia (discendendo fino alle Moire greche, alle triple Matrone romane, alle germaniche Norne, alla tripla Brigit irlandese, alle tre sorelle Morrigán e alla triade di Macha, alla tripla Laima baltica e alla tripla Sudičky o Roženicy slava fino a noi). Nella maestosa tomba-santuario irlandese di Newgrange, inoltre, si riscontra una straordinaria la ripetizione del tre e la sua importanza è osservabile pure nei templi di Malta, i più antichi dei quali risultano essere a forma di trifoglio. Dallo studio dei reperti, Marija Gimbutas è arrivata a decretare che “la Dea è il Fato o i tre Fati”.
Le dee tripartite in Grecia e a Roma. Robert Graves sostiene che le tre Moire siano, assieme alle tre Esperidi, tra le divinità che nacquero all’inizio del mondo, tant’è che anche Zeus deve sottostare ad esse: Cloto fila dal fuso il filo della vita, Lachesi lo misura, Atropo (la più minuta delle tre) lo taglia con le sue forbici quando giunge l’ora. Secondo lo studioso potrebbero essere la triplice dea-luna nel suo aspetto di sovrana della morte… di bianco vestite, generate da Erebo con la Notte o nate per partenogenesi dalla primordiale dea Necessità, apparirebbero come triplice dea Luna poiché “moira” significa fase, al pari dell’astro che possiede tre fasi, come tre persone: luna nuova/dea vergine della primavera/prima parte dell’anno, luna piena/dea ninfa dell’estate/secondo periodo dell’anno, luna calante/dea vegliarda dell’autunno/ultimo periodo dell’anno. Anche le tre Danaidi sarebbero la triplice dea lunare Danae, in realtà un’altra versione delle Moire, forse anche sacerdotesse della luna alle quali sarebbe da far risalire l’invenzione di una primissima forma di alfabeto. In ambito greco e romano non si può non citare la dea Ecate, spesso raffigurata trimorfa (con tre corpi) oppure tricefala (con un corpo solo ma con tre visi, in questo caso talvolta raffiguranti la giovane, la madre e l’anziana). Certamente si tratta di una figura decisamente misteriosa e poche sono le certezze sul suo conto: di sicuro si può dire che fosse una divinità con un forte carattere lunare, talvolta confusa con Artemide o Selene, e psicopompa, ovvero incaricata di accompagnare le anime dei defunti negli Inferi.
Divinità triplici celtiche. Benché l’idea della triplicità sia molto comune nella tradizione indoeuropea, il tre era senz’altro il numero più sacro e magico tra tutti gli altri per i Celti, per i quali era simbolo di totalità: nel tempo, rappresentava il passato, il presente e il futuro; nello spazio il dietro, il qui e il davanti; infine era cielo, terra e inferi. Nell’area celtica le figure tricefale che si possono osservare sono in genere divinità benevole con l’unica funzione di elargire abbondanza e prosperità (l’immagine a tre facce è irreale, soprannaturale perciò non solo incarna e moltiplica per tre il potere già insito nella testa umana, ma permette anche di guardare contemporaneamente in tre direzioni diverse); un classico esempio di divinità rappresentate invece da tre figure distinte sono i Geni Cucullati britannici, triplici esseri incappucciati preposti a fecondità e benessere. In ambito celtico sono però più spesso le divinità femminili ad assumere forma tripartita, soprattutto le Dee-madri: secondo l’idea di una madre-terra divina dispensatrice di fertilità, a cui ci si riferisce volentieri come Deae Matres o Matronae, e proponendo spesso figure di divinità triple (onnipresenti in tutto il mondo romano-celtico, sovente non sono tre figure identiche, ma esibiscono pettinature, abbigliamento e attributi distinti, esprimendo l’idea di tre entità in una, secondo un concetto di fluidità e ambiguità notevoli; si veda inoltre l’affinità con le Parche). La triplicità è poi associata ad alcune divinità femminili irlandesi, come Macha e la Morrigán, che univano agli attributi della sessualità/maternità quelli della guerra.
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