La notte di San Giovanni (in realtà la vigilia, cioè la notte del 23 giugno) è il momento in cui, secondo la tradizione popolare, si preparano rimedi e prodotti protettivi.
Oggi è diventato un divertissement preparare la celebre acqua di San Giovanni: si lascia una bacinella d’acqua con dei fiori -diversi da zona a zona- esponendola alla benedizione notturna del santo; attualmente prevale il lato narciso che renderebbe l’acqua capace di donare bellezza e gioventù, ma l’elemento che conferiva il potere alle preparazioni era in realtà la rugiada che le inumidiva di notte; era infatti questo a rendere speciali le erbe raccolte in tale momento, soprattutto le cosiddette erbe della buona salute come salvia, menta, alloro. Nel Nord Italia, abbiamo visto, la notte di San Giovanni era il momento per raccogliere i malli e preparare il nocino, rimedio a tutti i mali.
Nelle campagne si accendevano falò sulle alture per infondere energia al sole che iniziava il suo cammino verso l’apparente morte invernale, ma soprattutto si mettevano del sale o una scopa sull’uscio della porta per tenere alla larga le streghe.
L’uscio della porta, archetipo della soglia, era al centro di moltissime credenze e relative usanze. Alcune giungono a noi dal repertorio romano: appoggiarla accanto alla porta, o al camino, impediva agli spiriti malvagi di penetrare nell’abitazione (e c’è chi pensa che il Colle Viminale di Roma derivi il nome dal Salix Viminalis, un tipo di salice con cui si facevano le scope sacre). Quel che è certo è che la scopa accanto alla porta era un rimedio accertato perché la strega (forse in preda a una qualche mania di controllo) non avrebbe resistito alla tentazione di contare tutte le ramaglie della scopa… si sarebbe così fatto giorno e con il rischio di essere scoperta. Analogamente si riteneva che un altro buon metodo fosse un barattolo di sale con i suoi innumerevoli granelli da contare. Ennesimo rimedio per proteggere l’abitazione consisteva nel porre sull’uscio ulivo benedetto, fico, alloro, rosmarino, ginepro e (!) noce. Per proteggere se stessi, la tradizione prescriveva di portare sotto la camicia le erbe di San Giovanni (iperico, ruta, aglio e artemisia; l’iperico, in particolare, ha dei petali che possono macchiare di rosso se strofinati tra le dita e tale tinta prende volgarmente il nome di “sangue di San Giovanni”).
Ai Romani si può anche far risalire l’usanza delle fave per scacciare le streghe: la tradizione deriva dalle Calende delle fave, celebrate il I° giugno, quando si mangiavano ritualmente delle farinate di fave in onore dea Carna; il mito narra di una giovane ninfa che viene sedotta con l’inganno da Giano (parleremo ancora di lui!) e che ottiene in cambio il potere di tutelare i cardini delle porte, altro modo per farne una guardiana delle soglie, domestiche in questo caso. Tra le funzioni di Carna vi era quella di proteggere i neonati, tramite un ramo di biancospino sacro a Giano, dagli attacchi notturni delle striges, donne magicamente trasformate in uccelli spaventosi (con grandi teste, occhi enormi e fissi, becco adunco e artigli). Inutile ricordare come una delle principali caratteristiche delle streghe sia il volo notturno e, in epoca medievale, assistiamo allo slittamento semantico di striges in streghe… la figura a capo degli stormi di streghe è Diana, la dea lunare che continuò per molto tempo ancora a sopravvivere nei villaggi rurali (in latino pagi, da cui pagani). A Diana/Artemide era dedicata l’artemisia, da cui prende il nome -e che ritroviamo tra le erbe di San Giovanni- per i suoi molti utilizzi legati al ciclo mestruale e al parto.
Per approfondire.
La storia di Caria, presunta sacerdotessa di Artemide legata al noce.
Diana, dea delle streghe nel libro Storia nottuna di Carlo Ginzburg.
Artemide, in testa al corteo di ninfe.
Il noce come albero solstiziale estivo.
Un’altra creatura celebre per la sua scopa: la Befana.
Qualcosa in più sul solstizio d’estate.
Perché si ricorre al fuoco (e ai falò) nelle feste stagionali.
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