Come abbiamo visto (qui), in diverse zone dell’Europa all’inizio della primavera si svolgeva un rito per cui l’effige dell’inverno, detto solitamente la Vecchia, veniva arso in un fuoco cerimoniale che serviva a risvegliare e stimolare la vegetazione.
E’ possibile che l’usanza di uccidere il dio e la credenza nella sua resurrezione abbia avuto origine quando l’uomo viveva ancora di caccia e pastorizia. Sarebbe allora presumibile che la divinità immolata avesse sembianze animali, mentre con l’affermarsi della società agricola, la divinità avrebbe preso le sembianze del grano, di un’effige o di un uomo che lo simboleggiava (con un travestimento).
Il re che è anche divinità. L’uomo che è così speciale da accogliere in sé lo spirito divino è solitamente anche responsabile della comunità in cui vive (sono molti gli esempi di re sacerdoti di origine divina nelle società umane). Il re del bosco/spirito della vegetazione doveva necessariamente essere ucciso perché lo spirito divino incarnato nella sua persona potesse essere trasferito integro al suo successore (e ottenerne la massima efficacia). Fino a quando fosse stato in grado di difendere la propria posizione egli avrebbe potuto regnare ma ciclicamente, all’arrivo della primavera, egli veniva sfidato ed eventualmente ucciso dal suo successore.
L’idea dietro il rito. Tale usanza è la manifestazione di una credenza arcaica secondo cui le divinità sono somiglianti all’uomo e si trovano nella medesima condizione di mortalità: l’uomo-dio (che solitamente è anche re) è destinato anch’esso a invecchiare, indebolirsi e morire. Questo crea una situazione di pericolo per la comunità: se la natura dipende dalla vita dell’uomo-dio, l’indebolimento dei suoi poteri e la sua morte non possono che essere causa di estinzione del popolo. L’uomo-dio dev’essere quindi ucciso appena le sue forze cominciano ad affievolirsi e la sua anima va trasferita nel corpo del successore. Uccidere l’uomo-dio permetteva al contempo di essere certi di aver catturato la sua anima (e di averla trasferita al successore), ma anche evitare che la natura deperisse al deteriorarsi del forze del sovrano.
Lotta tra Estate e Inverno. Se anticamente questa credenza poteva aver portato alla pratica del sacrificio umano e della lotta fisica tra i due contendenti, in tempi moderni può aver originato l’immagine popolare della lotta tra Estate e Inverno: una si presentava vestita di verde, con nastri ondeggianti al vento e con in mano un rametto in boccio, l’altro indossava mantello e cappuccio di pelliccia e portava in mano una pala da neve o un correggiato per battere il grano (secondo un’iconografia che si ritrova anche nella leggenda del Re Quercia e Re Agrifoglio).
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