“I mostri di questo libro fanno parte dei miti che hanno influenzato l’attuale cultura dominante man mano che veniva costruita. Queste sono le favole della buonanotte che il patriarcato racconta a se stesso”.
Il libro del Babacio Bookclub di febbraio è un saggio d’ispirazione femminista su alcuni dei più celebri mostri (femminili) greci che, in un qualche modo, influenzano ancora oggi la nostra società e la visione filtrata delle donne che ci vivono. Ogni personaggio è accostato a un sentimento, una particolarità che la lente sociale vede come mostruosi ma che spesso sono tali solo se appartengono a una figura femminile, mentre rientrano nella normalità di ciò che viene definito “maschio”. I personaggi analizzati nel testo sono in tutto 11, qui vi parlo solo di alcuni di loro e lo farò citando ampiamente Jess Zimmerman; tutti i virgolettati sono parole dell’autrice.
Sorelle mostri. “Volevo sentirmi circondata da queste donne e vedere se tra di loro c’era posto anche per me”.
I mostri, gli stessi dell’antichità classica ma riproposti ai giorni nostri, sono più belli, più femminili e più umani. Essere più belli significa essere più inoffensivi (l’idea arriva dalla Grecia, dove bellezza è prova di bontà), ma vuol dire anche essere più pericolosi perché meno riconoscibili… Se la bruttezza è prova di mostruosità e pericolosità, se ora i mostri diventano pure belli, come faremo a riconoscerli e starne alla larga? “E se un volto femminile sarebbe potuto in realtà appartenere a una Gorgone in incognito, qualsiasi donna poteva essere un mostro. E forse lo erano tutte”.
È esattamente la pericolosità della strega: che ogni donna può esserlo.
“Una percezione sospettosa delle donne in generale, la sensazione che ognuna di essere possa avere artigli e code nascoste sotto la superficie dell’acqua” (corsivo mio).
“Le donne possono anche avere volto all’apparenza inoffensivo, ma guardate quei capelli di serpe, quella cintura di cani e quegli artigli”… il messaggio definitivo dato dai racconti sulle donne mostro pare essere innanzitutto: state attenti!
Essere mostri. Nelle storie dei miti, del folclore e della letteratura, narrate dagli uomini e definite secondo la loro visione del mondo, le qualità eroiche equivalgono a tratti maschili; se la protagonista è un’eroina dovrà incarnare entrambe le gamme di qualità: “L’eroe donna può prendere le catene della femminilità e portarsele dietro nelle sue avventure, ma non è la stessa cosa che liberarsene”. Secondo Zimmerman la donna che appare valorosa deve possedere le virtù femminili di un sex-appeal passivo e una fragilità da soccorrere: l’eroina che porta in sé caratteristiche maschili e femminili insieme ha già perso in partenza. “Se l’eroina ce la fa e riesce a sfuggire alle costrizioni che la sua femminilità le impone, le stesse virtù eroiche che impersona spesso poi si trasformano in una mostruosità”. Queste storie sono servite a far sopravvivere l’idea che le donne sono mostri e i mostri sono donne; e i mostri sono creature che vivono -diventano mostri- appena oltrepassano il confine dell’accettabilità: “se uscire dai confini ti rende mostruoso, questo significa che i mostri una volta usciti non hanno più confini”. Il mostro può, e dovrebbe, diventare una guida.
Essere brutte e mortali. Medusa non era una donna brutta, ma la brutta donna per eccellenza. L’autrice ragiona sul trasformare, come la Gorgone insegna, la propria bruttezza in un’arma “così brutta da far male -ma agli altri, non a se stessa. […] Cosa significherebbe se la bruttezza non fosse una vulnerabilità ma un punto di forza?”
La bruttezza, che non è semplicemente mancanza di bellezza, ha in sé un grande potere che -apparentemente- è il rifiuto di conformarsi alle regole, ma che in realtà prevede l’accettazione del caos (e hai detto niente).
Perché Medusa, delle tre Gorgoni, è l’unica mortale? La sua morte la rende leggendaria, sì. Ma l’evoluzione (osservata nel precedente post) del personaggio richiede anche che dalla sua originaria orribilità si arrivi alla paradossale bellezza estrema della giovane Medusa: quando era terribile e spaventosa, Medusa non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, non era ibrida solo per la presenza dei capelli, ma c’erano molte altre caratteristiche che la rendevano non-umana (= divina). Da mortale però diventa soggetta allo scorrere del tempo, in un processo che vede la giovinezza divenire un requisito della bellezza e dove per “bellezza” s’intende aderire a degli standard irreali e immortali (no peli e no rughe qui, baby).
Essere ladre e ambiziose. Anche le Arpie erano creature ripugnanti, sia nell’aspetto di uccelli con il volto da donna, sia nell’attitudine a rubare e insudiciare il cibo (che siano ladre lo si deduce dal loro nome, derivato di harpazein “rapire” in greco). I racconti analizzati nel libro si riferiscono ai miti di Fineo e di Enea, dove le Arpie impediscono agli eroi di nutrirsi di un cibo che, in realtà, viene sottratto alle creature alate e andando a rappresentare poi i tentativi femminili di riprendersi il proprio come una pretesa mostruosa. Dare a una donna dell’Arpia “è come farsi beffe della sua ambizione e rafforzare il concetto che non si merita niente, che tutto quello che si è guadagnata l’ha rubato dalla bocca degli uomini, ai quali apparteneva di diritto” (corsivo mio). Le Arpie spaventano perché volano in stormi e hanno un obiettivo… l’autrice riporta una serie di episodi dove gli uomini si sono sentiti in competizione sleale su terreni loro: la politica, la letteratura e la musica. Per amore di collegamento con il precedente Bookclub dedicato a Ursula Le Guin, riporto quello sulla letteratura, che riguarda la fantascienza: Zimmerman fa notare come le autrici donne siano di più e come scrivano di più, ma essendo l’editoria in mano ai maschi -i quali ritengono le donne adatte solo a certi generi letterari- sono restii a pubblicare per esempio la fantascienza rosa… “La fantascienza rosa fa come le bambine che vanno a giocare nella sabbionaia dei maschi e poi ci cagano dentro come i gatti” (= le Arpie piombano in picchiata sui beni degli uomini e insudiciano tutto ciò che non riescono a rubare).
“Il problema, ci dicono, non è che le donne chiedono cose -potere, autonomia del proprio corpo, soldi, riconoscimento, autodeterminazione. È che queste cose le tolgono di mano agli uomini. […] L’Arpia vuole vincere, il che significa che un uomo deve necessariamente perdere”.
“Nessuno sa correggere come un mostro”. Alla fine del libro, Zimmerman fa un’amara considerazione: molti dei mostri classici sono imparentati tra loro, tutti figli o discendenti di Echidna (donna fino alla vita e serpente sotto, guarda caso). Echidna, la cui storia è nota solo in relazione a quella del consorte Tifone guarda caso, è vissuta sempre nascosta “nata nell’oscurità e mai realmente uscitane, era fuggita ancora più in profondità nelle viscere della Terra per timore di una vendetta” (Tifone in effetti si è messo contro Zeus che l’ha sconfitto. La triste sorte di Echidna è essere risparmiata dal capo degli dei perché ella e i suoi figli… diventino gli sfidanti dei futuri eroi.
“È molto bello parlare del potere dei mostri. Ma essere un mostro non sempre ti fa sentire potente. […] Non sarebbe più facile se fossimo sempre degli orridi mostri pieni di entusiasmo e ce ne andassimo in giro con zanne d’acciaio e ali ampie quanto la libertà a calpestare cuori di uomini con una delicata zampa artigliata?”. Si è madre di mostri al di là dell’effettiva capacità uterina di procreare poiché, le peggiori paure degli uomini, possono essere generate tutte dai nostri corpi mangiando, gridando, guardando… tutte cose che ci rendono mostri.
“Ma le storie che ci raccontano possono essere riscritte, ripensate, persino corrette – e nessuno sa correggere come un mostro”.
Che bello sapere di essere nel giusto, ogni tanto.
Eh, sì… perché riscrivere le storie (a volte anche dei mostri) è in effetti una delle cose che amo di più. Qui ho parlato solo di alcune delle protagoniste del libro, le altre le lascio per la vostra lettura, ma se il soggetto in generale vi ha preso il cuore, qui sotto ci sono i “miei” di mostri e queste sono le storie per come le ho raccontate io.
Medusa, in tutte le salse: come personaggio del mito, come Dea serpente e come maschera.
Aracne, la mia seconda preferita dopo Medusa (ma non diteglielo).
Ancora una donna serpente: Mélusine.
Non solo donne mostro, anche il Minotauro era un gran figo.
Le sirene (solo l’articolo più recente, da lì ce ne sono a cascata!).
Non esattamente un mostro, ma la ugualmente temibile dea corvo Morrigàn.
Leave a Reply