C’è un sottile punto d’incontro tra la storia della fermentazione e quella di Persefone che vive parte del tempo dentro e fuori degli Inferi: la preoccupazione umana per il cibo. Laddove il mito esprime la necessità di una spiegazione per l’alternarsi delle stagioni (mito eziologico) incatenando un evento gigantesco e vincolante, responsabile di vita o morte, a una forma di razionalità (umana, che con il divino non ha nulla a che vedere. E oggi, che i cambiamenti climatici fanno saltare ogni saldatura di questa regola divina, ci ritroviamo più smarriti che mai) cercando un qualche controllo su di esso. Dall’altra parte una tecnica, che rappresenta anche una sfida, per conservare il cibo il più a lungo possibile. Il prezzo da pagare? Che, dopo la fermentazione, il cibo non è lo stesso di prima. E a volte migliore.

Decomporre per fermentare. Quand’è che gli esseri umani hanno iniziato a collaborare con i lieviti, funghi microscopici?
È probabile che l’alcol venga prodotto da molto, molto tempo dato che, qualunque liquido zuccherino, fermenta autonomamente dopo un giorno. I lieviti che permettono la fermentazione dello zucchero in alcol sono perciò i funghi che, dati alla mano, condividono la storia più intima con gli esseri umani: come scrive Merlin Sheldrake, “è stato per il pane o per la birra che gli umani hanno abbandonato il nomadismo”.
Il potere di trasformazione del lievito è stato originariamente -e a lungo- personificato come energia divina, spirito, divinità; e alcol ed ebbrezza considerati tra le magie più antiche, forza invisibile che faceva apparire d’incanto l’idromele dal nettare, il vino dalla frutta, la birra dei cereali.
Tutte queste bevande divine, avevano inoltre il potere di alterare la mente: i funghi, in questo caso lieviti, costruiscono e distruggono allo stesso tempo l’ordine sociale degli esseri umani.
La fermentazione addomestica la decomposizione e “le ricette erano storie con cui dare senso alla decomposizione delle sostanze […]. La storia che sentiamo sui cereali determina se finiremo a produrre pane o birra”. I lieviti, nel loro essere microscopicamente invisibili, attirano attorno a loro consistenti residui narrativi. E quando la decomposizione non avviene negli otri sotto il controllo umano e la protezione divina di Dioniso?

La dea che controlla e protegge i morti. Ci avviciniamo alla festa che, secondo diverse e molteplici tradizioni, onora i morti: per i Celti era Samhain, per i Cristiani è la Commemorazione dei defunti, oggi si tratta di Halloween e anche per i Romani i morti avevano un nome e delle funzioni particolari (venivano festeggiati in tutt’altre date però), i Mani. Cosa c’entra tutto questo con il nostro discorso? Ebbene, ormai sappiamo tutti che le maschere spaventose indossate dai bambini durante il famoso “Dolcetto o scherzetto” sono la figurazione dei defunti, proprio gli stessi che erano venerati in questi giorni. L’inverno era il periodo dedicato alla celebrazione e al ricordo dei trapassati, ma non solo: essi venivano espressamente pregati e implorati nel momento in cui gli si affidavano i semi (le sementi erano messe nel terreno e il sottosuolo è la dimora dei deceduti): non a caso il regno dei morti e l’agricoltura facevano capo alle stesse divinità in molte religioni.
Tra ottobre e novembre era (ed è) tradizione nel nostro paese assecondare il clima e procedere con la semina dei cereali: affidati al regno di Persefone, nel grembo terrestre reso fertile dal micelio dei funghi, il seme usciva in primavera completamente diverso da com’era in autunno… una verde piantina all’inizio della vita sotto il sole.

Il Capodanno d’autunno. Abbiamo iniziato questa storia accostando Persefone, dea dei morti, e Dioniso, dio della fermentazione, alleati per la sussistenza degli umani. E questo è proprio il momento giusto per celebrare tale coppia divina: non lo dico io, ma le tradizioni europee che vedono in quello di San Martino il giorno in cui terminano le semine e la vinificazione, in un doppio processo che segna l’inizio della vita del seme sottoterra e la morte dell’uva dentro i tini.
“A San Martino il grano sta meglio nel campo che al mulino” significa che le sementi di questo periodo vanno destinate alla terra perché diano poi i loro frutti al ritorno del caldo (in questo senso simboleggiano anche la vita che si rinnova, al contrario del chicco che finisce nella macina e che mette in un certo senso fine al ciclo vitale circolare di cui è emblema). E “a San Martino ogni mosto diventa vino” indica che per tale data la raccolta dell’uva dev’essere già portata a termine e il processo di fermentazione avviato.
La celebrazione dei giorni tra autunno e inverno era così sentita che ci troviamo di fronte a uno dei dōdekaēmeron della tradizione europea: sono 12 giorni legati tra loro in una sequenza di riti volti a festeggiare un tema portante, di solito il Capodanno (per le festività d’origine celtica questa era effettivamente la fine del vecchio anno e l’inizio del nuovo).
Abbandoniamo perciò i giorni di Demetra, del giallo grano maturato al sole, per discendere con Persefone negli intrecci di ife fungine che permettono, tramite la decomposizione degli organismi morti, di fornire nutrimento e speranza alle nuove vite.

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Per approfondire.
I Dodici giorni, quelli invernali, cosa sono e perché si festeggiano.
Halloween spiegato breve brevissimo.
La dea del sottosuolo, Persefone.
E il dio della fermentazione, Dioniso.
San Martino visto come spirito della vegetazione.

Cosa mi ha aiutato a scrivere questo post:
“L’ordine nascosto. La vita segreta dei funghi” di M. Sheldrake (i virgolettati del testo sono tratti da qui. È anche il libro del Babacio Bookclub del mese!)
“Halloween. Nei giorni che i morti ritornano” di E. Baldini e G. Bellosi
“Attraversando l’anno. Natura, stagioni, riti” di D. Balestracci