Le mutazioni del vino erano misteriose e lo rendevano vivo agli occhi degli antichi. La vicenda stessa di Dioniso è paragonabile a quella del vino: dopo il sacrificio si nasce, una seconda volta, e diverso da prima. La vendemmia avveniva (e avviene ancora) nei giorni in cui, tradizionalmente, si assiste al ritorno dei morti e in cui si pianta il grano e pure durante le feste greche di primavera, il dio era celebrato nella sua esplosione di vita, ma un giorno era segnato dal clima cupo del ritorno dei morti a questo mondo.
Dioniso è diventato (anche) il dio del vino perché è una divinità della linfa, sangue delle piante, che in primavera risale nella corteccia da terra e in autunno discende nel mondo dei morti.
I cibi fermentati sono ammantati di sacralità in molte culture umane e sono anche un antichissimo metodo di conservazione: il processo a cui sono sottoposti ne cambia l’aspetto, il gusto e il valore nutritivo… diventano completamente un’altra cosa. L’intensità del gusto e dell’odore dopo la fermentazione sono dovuti al fatto che il processo, altro non è, che una forma di putrefazione (controllata attraverso il sale, l’umidità, i lieviti).
Sono proprio questi ultimi, come tutti i funghi, i principali agenti di decomposizione, presenti ovunque e che complicano la gestione del processo perché, il pane e le bevande fermentate, sono alimenti vivi.
Se i cibi fermentati hanno un aspetto e un odore che ricorda la morte è proprio perché essa è implicata nel procedimento. Qualcosa muore per rivivere sotto una nuova forma: è una rinascita.
Uva, grano e divinità. Cibi che diventano completamente un’altra cosa sono il pane, tratto dal grano, e il vino, tratto dalla vite. E, nell’antica Grecia, spessissimo Dioniso, Demetra e Persefone erano associati in una triade divina agricola.
La preoccupazione per la sorte del chicco di grano ha dato vita a diverse figure, due delle quali legate indissolubilmente: il ciclo di vita del cereale fuori dal suolo è pertinenza di Demetra, tanto quanto quello sottoterra è preposto a sua figlia Persefone.
L’identificazione del grano con il divino era così forte che la ritroviamo ancora oggi nei cibi eucaristici cristiani: il pane è il corpo di Cristo -e il vino, non a caso, è il suo sangue. L’idea che il pane e il vino si ricavino dalla Terra è già presente nell’Antico Testamento e, se nella narrazione biblica il significato di questi alimenti diventa massima al momento della morte di Gesù -durante l’Ultima cena- e non tanto sulla “magia pagana” di trasformazione (come processo in divenire) è emblematico come per tutti essi rappresentino il simbolo della Resurrezione.
Il simbolo forse non cambia, ma la natura divina sì, o meglio: se il percorso di Gesù può ricordare a tratti quello di Dioniso, è completamente alterato l’aspetto sacro della componente femminile (dove Maria dovrebbe corrispondere a Demetra/Persefone).
Ripensare Persefone. Il sottosuolo era molto importante per gli antichi (e anche meno antichi), si trattava di una delle tre dimensioni della realtà; fin tanto che Zeus non stabilì, con il suo dominio e la sua dimora, che la sfera aerea fosse predominante, gli Inferi erano un terzo del Tutto.
Cosa succede sotto i nostri piedi? È il regno dei morti, della decomposizione, dei funghi.
E i funghi trasformano, lo abbiamo visto, l’uva in vino, i cereali in pane e birra.
Padroni del sottosuolo sono Persefone, dea della vita sotterranea, e Ade, dio dei morti.
Ho usato il concetto di spirito negli altri post a tema “cibi sacri” ed è ironico constatare che, come entità immateriale e incorporea, lo spirito è anche l’anima individuale e l’ombra di persona defunta non più legata al corpo (es. gli spiriti degli antenati e il corteo di spiriti).
La dimensione del maschile ha fatto esperienza di tutto “quaggiù” in terra e rivolge costantemente l’attenzione altrove, per conoscere e catalogare; la dimensione femminile -ma sarebbe più giusto dire la dimensione non maschile– ha desiderio di leggere la realtà attraverso le proprie lenti (cosa che non le è stato permesso fare per molto tempo): c’è un sacco da scoprire “quaggiù” se lo si guarda con occhi non maschili.
Per fare questo, l’archetipo a cui affidarsi è Persefone; e il linguaggio, quello dei funghi.
Persefone, ridotta al ruolo di figlia, non solo è femmina, ma è pure giovane… ne risulta una doppia subordinazione: al genere e all’età. Insomma, il peggio che il patriarcato potesse concepire, vero e proprio ultimo gradino della scala sociale divina.
Da personaggio totalmente passivo nel mito, quale viene descritta, è necessario restituirle dignità.
Come nella cristianità Gesù viene a coincidere con Dio padre, così Persefone è la stessa persona di Demetra madre: l’una dea di Morte sotto terra e l’altra dea di Vita su terra. Siamo di fronte al duplice aspetto dell’Unica dea antica, datrice di vita e di morte… una divinità che era identificata femmina, perché capace di dare la vita, e il cui paredro era il Maschile fecondante, la pioggia, proveniente -non a caso- dalla terza dimensione, il cielo.
Gli esseri umani hanno ricreato un Universo armonico rispetto ciò che vedevano tutti i giorni con i loro occhi: che maschio e femmina danno la vita. Ma dare la vita non è l’unico modo di essere e di stare al mondo… come ci figureremmo le divinità oggi che conosciamo i funghi?
Il mondo di Persefone. I funghi sono i corpi fruttiferi dei miceti che, prevalentemente, vivono nel suolo espandendosi a ventaglio tramite piccoli filamenti chiamati ife.
Siamo circondati dalle reti intessute di ife dei miceti e, come scrive Anna Lowenhaupt Tsing, se “seguiamo i miceti in quella città sotterranea scopriamo i piaceri strani e vari della vita interspecie”.
Perché, come gli animali e a differenza delle piante, i miceti devono cercarsi il nutrimento; nel farlo, però, creano generosamente mondi per gli altri: da sempre digeriscono le rocce e questo rende disponibili i nutrienti per le piante. L’una non può prosperare senza l’attività dell’altro.
E non si tratta di una collaborazione unica, perché i miceti formano una rete tra gli alberi della stessa specie e, anzi, spesso di più specie. Se un albero dovesse trovarsi privato di luce (e quindi senza nutrimento), sopravvivrebbe grazie allo scambio di nutrienti con gli altri alberi, connessi a lui tramite la rete fungina.
Perché l’opera di creazione del mondo operata dai miceti ha ricevuto così poca attenzione? In parte perché in genere non ci si può avventurare sotto terra per ammirare l’architettura straordinaria delle città sotterranee che creano. Ma è anche perché fino a tempi abbastanza recenti molte persone -gli scienziati in primis- immaginavano la vita come una questione di riproduzione intraspecie. Le più importanti interazioni tra specie, in questa prospettiva del mondo, erano quelle tra predatore e preda, nelle quali l’interazione significava annientamento reciproco. Le relazioni simbiotiche erano anomalie interessanti, ma non davvero necessarie per comprendere la vita. La vita emergeva dall’autoreplicazione di ciascuna specie, che doveva affrontare proprie sfide evolutive e ambientali. Nessuna specie aveva bisogno di un’altra per preservare le proprie condizioni vitali; si organizzava da sola. Questa banda dell’autocreazione in marcia serrata metteva a tacere le storie del mondo sottoterra. Per recuperare quelle storie sotterranee dobbiamo allora riesaminare la visione del mondo intraspecie e le nuove testimonianze che hanno cominciato a trasformarla. […]
I miceti sono guide ideali: sono sempre stati recalcitranti alla gabbia d’acciaio dell’autoreplicazione. Come i batteri, alcuni miceti sono inclini allo scambio di geni in incontri non riproduttivi (“trasferimento orizzontale di geni”); molti sembrano anche contrari a tenere il loro materiale genetico in categorie come “individui” e “specie”, per non parlare di “popolazioni”.
Tratto da “Il fungo alla fine del mondo” di Anna Lowenhaupt Tsing.
Per approfondire.
Il sempre attuale articolo sui Misteriosi funghi.
Il post precedente a questo, dedicato a Dioniso (a cascata ne potete trovare molti altri che lo vedono protagonista).
Sul doppio di Persefone, Demetra come dea del grano e del pane.
Cosa mi ha aiutato a scrivere questo post:
“Il fungo alla fine del mondo” di A. Lowenhaupt Tsing
“L’ordine nascosto. La vita segreta dei funghi” di M. Sheldrake [protagonista del Babacio Bookclub di questo mese!]
“Religione come cibo e cibo come religione” a cura di O. Marchisio (in particolare, il cap. 3 “Cristianesimo e cibo” di M. Salani)
“Il ramo d’oro” di J. Frazer
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