Negli anni Settanta la costa californiana di Venice non era il paradiso che abbiamo in mente oggi. Era un luogo edificato e gettato via dalla crisi economica, dove mastodontici lunapark abbandonati facevano da teatro alla vita criminosa della popolazione più povera dei locali.
E però, come c’insegna il celebre adagio deandreiano, è proprio dal letame che nascono i fiori. I fiori di cui parlo oggi erano in realtà una combriccola di ragazzacci dei quartieri disagiati, affamati di vita e desiderosi di rivalsa sociale, obiettivo che raggiunsero non cavalcando romantici destrieri, ma più concrete tavole da surf e da skate. Oggi andiamo dritto a Dogtown.

L’ispirazione per la newsletter di oggi mi è venuta dopo aver visto il film Lord of Dogtown, e il progetto che ne permise la nascita, il documentario Dogtown and Z-Boys… ti consiglio di vederli in questa sequenza, in modo da affezionarti prima ai personaggi e poi scoprire come questa leggenda si sia originata. Sono due produzioni d’inizio Duemila e, all’epoca, nella valle di superprovincia che mi ha dato i natali, non arrivarono mai al cinema… quando, giorni fa, mi ci sono imbattuta li ho guardati avidamente. E mi hanno sbloccato un po’ di riflessioni.

La mail della settimana scorsa era pesantina, ti chiedo scusa. Anche se patisco il caldo, non sono tra chi ritiene che d’estate sia obbligatorio (e secondo me ci sono ben poche cose davvero obbligatorie nella vita) fare solo contenuti leggeri e parlare di cose frivole. Questa newsletter cercherà di essere meno tosta, ma gioco anche sul fatto che la precedente abbia fatto un po’ da apripista a quella di oggi [la mail in questione è questa, ndr].

Chi sono gli Z-boys? Come ho già detto erano un gruppetto di ragazzi dei quartieri poveri della West Coast americana, fanatici del surf (che praticavano in un posto assurdamente pericoloso) e che, una volta messe le rotelle alle loro tavole, reinventarono completamente lo stile dello skateboarding.
Fecero di necessità virtù: il surf si poteva praticare solo nelle prime ore del mattino perché le onde poi si fiaccavano. La città era invece un oceano di asfalto perennemente disponibile alla cavalcata. Quando poi nel 1976 la California viene colpita da una storica siccità e si proibisce di riempire le piscine, i ragazzi iniziano a intrufolarsi abusivamente nelle ville dei ricchi per skatare nelle vasche vuote (la cui forma ricorda le verticali onde marine a cui erano abituati e che surfavano selvaggiamente): era nato un nuovo stile da cui sarebbe poi discesa tutta la disciplina sportiva fino a oggi.

Percorrere a tutta velocità le pareti verticali delle piscine su ruote innescherà la competizione tra i ragazzi… primo livello di difficoltà, passare sopra la luce della piscina; secondo livello, passare con le ruote sopra il bordo della piscina; ancora più difficile… uscire con l’intera tavola dalla parete e poi riatterrare senza sfracellarsi. Si dice che il primo a riuscire in questa manovra pazzesca sia stato Tony Alva, ma gli Z-Boys unanimemente ritengono che il più bravo a farlo fosse Jay Adams.
Moderni Icaro, in grado di volare non per facoltà divine, ma grazie all’ingegno umano questi due erano -sempre unanimemente secondo gli Z-Boys- anche parecchio matti.

Nella loro follia, la storia dei due prende poi sentieri opposti: il primo diventa una star mondiale, fonda a 19 anni la sua azienda e diventa (probabilmente) lo skater più famoso del mondo; il secondo decide di continuare a giocare secondo le sue regole, che non sono quelle del mercato, e finisce la sua carriera in Messico, dopo una vita di skate e surf, carcere, condanne per droga, conversione alla religione cristiana. Muore a 53 anni per un arresto cardiaco nei giorni in cui “he was enjoying the best surf trip of his life”*.

Icaro non solo per la capacità di librarsi nell’aria (il suo Dedalo sarebbero stati i fondatori dello Zephyr Team, chi gli mise in mano non delle ali in piume e cera, ma una tavola da skate con ruote in uretano), ma anche meteora su questa terra, deciso non tanto a salvarsi la pelle, quanto piuttosto a godersi a modo suo la sua unica occasione.
Riprendiamo un attimo il mito di Icaro (nella sua versione più celebre che però non è quella più diffusa): Dedalo è il geniale inventore e realizzatore del labirinto di Creta, ne conosce tutti i trucchi e infatti è lui a spiegare ad Arianna come uscire da lì e compiere la sua fuitina con Teseo. Scappati i piccionicini e trovato cadavere il Minotauro, il patron della baracca (aka re Minosse) decide di rinchiudere nel labirinto Dedalo e pure il giovane figlio Icaro, avendoli così -senza aiuti esterni- intrappolati per sempre. Ma, ehi, Dedalo è un geniale inventore e con della cera e delle piume che non sappiamo dove abbia recuperato, moderno MacGyver, costruisce delle ali per sé e il figlio.
Unica raccomandazione, che te lo dico a fare, non volare troppo in alto (= vicino al sole) che se no la cera si squaglia. E, che te lo dico a fare, Icaro non gli dà retta manco per il caz… ehm, decide di fare di testa sua. Epilogo: desideroso di vedere il carro solare di Apollo, responsabile del moto dell’astro lungo la volta celeste, si avvicina al Sole per poi precipitare a mare.
[Mentre scrivo queste righe mi viene in mente che la morte per “schianto sulla superficie del mare” aveva per i Greci il termine tecnico Katapontismós ed era la forma di suicidio a cui ricorrevano le sirene quando non riuscivano a traviare i marinai con il loro canto. Interessante, no?].

Ecco, io non voglio dire che Icaro abbia fatto quel che ha fatto perché voleva farla finita (creativa come forma di suicidio, comunque). Penso piuttosto che nello spirito ribelle dell’adolescenza, abbia preferito godersela tantissimo svolazzando lassù, dove nessun altro umano era mai andato, anche a costo di lasciarci le proverbiali penne. Decidendo egli stesso di come condurre la propria esistenza. E in fondo, diciamocelo, non è che il padre-galoppino dei poteri forti gli avesse proprio dato un esempio di vita libidinosa°.
Peggio di questo, c’è solo come il mito viene raccontato. Non si trova versione, nella “cultura generale” che non etichetti l’agire di Icaro come folle. Disubbidiente al padre. Presuntuoso. Stolto per non aver ascoltato chi era più esperto. Irrispettoso della vita, in definitiva.
Ma quale vita? Quella che aveva deciso di viversi lui o quella che la società si aspettava lui dovesse condurre? Quale destino avrebbe avuto Icaro, se non prendere il posto del padre e fare il lacchè di qualche re capriccioso e, quest’ultimo sì (aka re Minosse), irrispettoso della vita quando non è la sua: quella dei suoi “dipendenti” (Dedalo e Icaro, che c’entrava meno di tutti, a ben vedere), del suo figliastro mostruoso (= il Minotauro), della figlia scostumata (= Arianna), dei giovani ateniesi che venivano mandati a Creta per essere divorati dal suddetto figliastro mostruoso (= il Minotauro).
Un vecchio re contro giovani, figlie e figli.
Un padre che mette le ali al figlio, ma poi “devi volare come dico io”.
Una storia che punta tutto sul “hai fatto come volevi, e infatti hai fatto una ca**ata… esattamente come mi ero aspettato”.

Non ci si crede che Icaro abbia davvero voluto vedere in faccia il dio del Sole prima di morire, sapendo che prima o poi tutti moriamo.
Non ci si crede che Jay Adams abbia preferito rinunciare a una vita di fama e denaro, restando nella sua idea, una sorta di etica personale.
Non ci si crede -in definitiva- che i giovani sappiano fare cose migliori dei vecchi tromboni che mandano avanti il mondo. Con discutibili risultati.

* La citazione (così come il titolo della newsletter) è tratta dall’articolo: “Jay Adams: the freestyle and vert skateboarding pioneer
° Anzi, la biografia di Dedalo lo dipinge come, diciamo, un farabutto rosicone che uccide il fratello più in gamba di lui.