Gli animali leggendari più famosi sembrano essere, a braccetto con l’unicorno, i draghi e -sempre a quanto affermano gli esperti di folclore- in parecchi dormirebbero proprio nelle viscere della catena alpina. Quel che è certo, è che i nostri montanari, gente pragmatica e poco avvezza alle bestie sputafuoco, possiedono ancora -nel loro repertorio di fine Ottocento- tutta una serie di rettili, che del drago, sono quasi sicuramente la derivazione… e se le celebri uccisioni vengono lasciate prima agli eroici cavalieri medievali e in seguito ai santi in lotta contro il paganesimo, le serpi che affollano i racconti mitici delle Alpi qualche potere magico ce l’hanno pure. A partire dal loro legame con le pietre preziose. E se le gemme dei serpenti alpini fossero qualcosa di molto più tangibile e antico di quel che pensiamo?
Pietre e poteri. Nel Medioevo ogni cavaliere che si rispettasse doveva acquisire fama compiendo almeno una grande impresa e l’Impresa per eccellenza era uccidere un drago. Qualche tempo dopo il drago diventerà il simbolo del paganesimo e saranno fior fiore di santi a combatterlo (e sconfiggerlo), ma in realtà lo scontro con questa bestia leggendaria è ben più antica. Se ricordate, avevamo già affrontato il mitologema della “lotta contro il drago” quando l’avevamo identificato come uno degli elementi portanti della cultura patriarcale delle steppe, che si scontrava con quella matriarcale dell’Europa antica, dove il serpente-custode dell’albero della conoscenza era il simbolo della Grande Dea (detta anche Gorgone). Della potenza dell’antica Dea ci rimangono le briciole nelle leggende moderne, ma meglio di nulla: il drago ci è pervenuto come una creatura ambigua, connessa al fuoco e all’acqua e custode del mondo sotterraneo dei morti.
Il folclore (più o meno) alpino ne conosce per tutti i gusti e in questa categoria finiscono più o meno tutte le bestie striscianti: il Basilisco, letteralmente il “piccolo re”, da intendersi come re dei serpenti, che uccide con lo sguardo e dal morso e fiato mortali; in Piemonte si parla di vipere volanti, del Serpant, del viprun, dello spic e della regina delle vipere; le Alpi più in generale possiedono la vouivre e il drago Tarantasio, vissuto in un mitico lago lombardo e di drago si possono vedere persino le impronte (che avranno infatti pensato i nostri avi delle tracce fossili di Isochirotherium gardettensis?); il Po ospita i serpenti d’acqua che in Provenza sono noti come tarasques e certe Masche, le streghe piemontesi, sono in grado di trasformarsi in serpenti per succhiare il latte da donne e animali, proprio come la biscia lattona romagnola; il sangue di alcune di queste creature ha poteri di invulnerabilità o permette di rigenerare le ferite e sul capo portano una pietra dai grandi poteri; in definitiva, chi batte il drago, ne acquisisce in qualche modo la forza.
La Pietra Verde. C’è un minerale particolarissimo che nasce nel cuore delle Alpi occidentali e, in special modo, si attribuisce al Monviso: la giada. Questo materiale è stato spesso ritenuto di origine esotica, dell’Estremo Oriente in particolar modo, e questa convinzione è frutto del colonialismo ottocentesco che lo importava dalla Cina ma, ben prima!, gli esseri umani erano già stati rapiti dalla bellezza di questa pietra verde. È proprio sul finire di quel secolo che in Piemonte s’iniziano a indagare alcuni manufatti preistorici realizzati in giada (e altri minerali affini, tutti accomunati dal colore): giadeiti, serpentiniti, ofioliti… in poche parola Pietre verdi o Pietre serpente, come vengono chiamate. Intendiamoci, non che questi manufatti fossero una novità per i locali: da sempre i contadini delle campagne ai piedi del Viso rinvenivano pietre affusolate mentre rivoltavano la terra… sono le cosiddette pere dal trun (lett. pietre del tuono) che si riteneva fossero precipitate dal cielo a seguito della caduta di un fulmine e che, proprio per questo motivo, possedessero alcune proprietà magiche come preservare il campo dai danni di grandine e temporali. Quando un contadino, rivoltando il suolo con la zappa o il vomere, s’imbatteva in una di queste pietre considerate un segno divino (probabilmente il valore del fulmine, antico attributo di Giove e di molti principali dei indoeuropei, non era del tutto sconosciuto o scomparso alla memoria popolare), prontamente provvedeva a risotterrarlo per beneficiare di quella fortuna insperata. Con l’esplorazione delle Alpi e i primi studi moderni dell’habitat alpino, si cominciarono a effettuare i rinvenimenti di quello che le pere dal trun erano probabilmente state in epoca preistorica: asce e anelloni in giada. Ma che ci fa la giada sul Monviso? Semplice: “appena” 160 milioni di anni fa, la catena alpina era un fondale oceanico in formazione, soggetto a eruzioni sottomarine che creavano fuoriuscite continue di magma bollente che si raffreddava rapidamente a contatto con l’acqua… da qui la formazione di queste pietre verdi, che arrivarono poi in cima alle Alpi quando Africa ed Eurasia iniziarono ad avvicinarsi sollevando e formando le nostre montagne. I pochi punti in cui, tra le rocce comuni, emergevano i filoni verdi dovevano essere uno spettacolo davvero insolito e gli esseri umani preistorici li considerarono naturalmente un segno divino, non impiegandoci molto a capire come estrarne dei blocchi e lavorarli in oggetti che, data la loro rarità, divennero in breve dei manufatti specialissimi. Ad oggi oggetti provenienti dal Viso, soprattutto grandi asce cerimoniali, sono attestate in tutta Europa: dalla Danimarca alla Sicilia e dall’Irlanda al Mar Nero. Alcuni ritengono che le asce facessero parte di corredi maschili di personaggi importanti, tanto quanto un altro tipico oggetto realizzato con questi materiali, un particolare tipo di anellone, fosse appannaggio delle donne d’élite, in virtù della sua forma tonda… purtroppo, dato che non sappiamo nulla dell’utilizzo di questi anelloni, resta solo una congettura, seppur affascinante.
Lo spirito ctonio. Se la montagna agli occhi degli esseri umani arcaici era simbolo necessario, visibile e tangibile, di una divinità altrimenti nascosta nei cieli inarrivabili e imperscrutabili non ci devono stupire espressioni che oggi considereremmo ingenue, come ritenere fecondanti e protettive delle pietre verdi conficcate nel terreno (e in effetti, ragionando in termini mitologici, la pietra del tuono, frutto del fulmine divino che colpisce la Madre terra, diventa evidentemente qualcosa di estremamente sacro e potente). Abbiamo abbondantemente parlato di aratura simbolica ma qui forse possiamo fare un passo più in là: se ci basiamo sul bisogno dell’umano di toccare il divino (bisogno tanto antico quanto attuale), possiamo facilmente comprendere come in passato esistessero un’infinità di segni divini, a cominciare dalle cose più rare e curiose. Non potevano sfuggire a questo meccanismo le pietre, più o meno preziose, e -anche se quella di “pietra serpente” è un’etimologia tutto sommato recente- la credenza che draghi e serpi custodissero, in essi o in qualche anfratto segreto, queste gemme fuori dal comune rientra nella normalità. Ricordiamoci infatti che nella Preistoria il serpente era l’animale ctonio per eccellenza e numerosi sono i miti che lo pongono all’origine delle cose (con grande sdegno della narrazione cristiana!). Pensare che la magica pietra delle vouivres potesse per qualcuno avere lo stesso aspetto di una pera del trun qui, più o meno ai piedi del Monviso, forse non era così insensato…
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