Nelle mie vallate natali ancora all’inizio del Novecento veniva riportata un’antica usanza secondo cui un corteo di giovani si riuniva nella tarda serata del 21 marzo e, gioiosamente tra canti trionfali, scendeva in paese portando con sé un pupazzo di paglia che raffigurava una vecchia con le braccia penzoloni e la testa china per il gran peso degli anni.
Il corteo faceva il giro del paese inseguito dai bambini e dal popolo che intonavano: “A la Tour a iè ‘na veia, ouehi, oh!, ‘na veia sensa dent, ‘na veia sensa dent!” cioè: a Torre (Pellice, provincia di Torino) c’è una vecchia, eh sì, eh già / una vecchia senza denti, una vecchia senza denti. Al termine del giro il pupazzo, chiamato in piemontese la Veia (ossia, la vecchia), veniva bruciato tra le grida e i canti di felicità di tutti. La veia rappresentava infatti l’inverno e la cattiva stagione: questo rito veniva celebrato proprio il 21 marzo che segna l’equinozio, cioè l’inizio della primavera, e la fine della lunga veglia invernale. In molti paesi europei si ricordano altre tradizioni in cui alla vigilia della primavera si bruciano fantocci con fattezze umane chiamati la Vecchia, la strega, la nonna dell’inverno.
Le origini. L’usanza di uccidere il dio e la credenza nella sua resurrezione derivano probabilmente dal Paleolitico, prima che l’uomo diventasse un coltivatore. Con l’affermarsi dell’agricoltura la divinità, che era fino ad allora presumibilmente un animale, prese le sembianze dello spirito del grano tramite un’effige o un travestimento; in alcune zone è rappresentato, per esempio, dal Carnevale e dalla sua sepoltura. Talvolta l’effige della Vecchia è decorata con foglie oppure fatta di sterpi, rami o covoni di grano: può essere quindi considerata una variante della morte e rinascita dello spirito della vegetazione in primavera.
La cacciata della Morte. La tradizione della cacciata della Morte è simile all’usanza della sepoltura del Carnevale, ma nella prima c’è la credenza che a lei seguano l’estate, la primavera, la Vita. La Morte è simboleggiata dal fantoccio che viene arso, ma all’effige viene attribuita anche una nuova forza vitale che, quasi come un resurrezione, la trasforma in strumento di rinascita. In questi riti quindi la Morte, che viene annientata, non è puramente agente di distruzione quale noi oggi siamo abituati a considerarla: la virtù vivificatrice del personaggio della Morte è confermato dall’usanza in certi paesi di collocare la cenere del fantoccio arso nei campi, nelle mangiatoie e nei pollai per portare fecondità (seppellire l’effige del carnevale sotto un mucchio di concime ha lo stesso influsso fertilizzante attribuito al simulacro della morte, secondo lo stesso processo che rende speciale la cenere del ceppo di Natale e che è all’origine del carbone della Befana).
Cerimonie arcaiche. Le denominazioni Carnevale e Morte sono inadeguate a descrivere tali usanze e la loro astrattezza ne tradisce la modernità… Le cerimonie praticate sono invece arcaiche, la cui origine si perde nei tempi; i concetti messi in atto sono certamente più semplici e concreti e spiegano perché, riferendosi allo spirito della vegetazione, utilizzino il nome di Vecchio o Vecchia: lo spirito non viene mai concepito come morto, ma solo addormentato e pronto al rinnovamento primaverile. In tutti questi personaggi in cui si mima la morte, si deve riconoscere l’immagine dello spirito degli alberi o della vegetazione che si rivela in primavera. L’uccisione del dio nella sua forma umana è un atto necessario perché egli si rianimi o resusciti in forma più giovane e vigorosa. Uccidere in primavera il rappresentante dello spirito permette di dare inizio e affrettare la crescita della vegetazione.
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