La storia delle migrazioni dei popoli non è sempre uno scenario di lotta e conquista. Anzi, le invasioni che più lasciano tracce nella cultura sono quelle avvenute in modo pacifico, nel corso delle quali le civiltà autoctone e quelle straniere si avvicinano e mescolano. Dallo scambio culturale di popolazioni diverse nascono nuovi costumi, nuove credenze e nuove abitudini alimentari: la Bagna Caoda piemontese è un piatto che in pochissimi ingredienti (aglio, olio, burro, acciughe) racconta di fitti contatti al di qua e al di là delle Alpi e che merita davvero di essere conosciuta!
Un pesce fuor d’acqua. Ciò che stupisce leggendo gli ingredienti di questo piatto tipico di una regione che non ha sbocchi sul mare è la presenza dell’acciuga. Questo si spiega perché stiamo parlando di una pietanza nata nelle zone montanare attraversate dalle cosiddette Vie del sale: sentieri alpini lungo i quali avveniva il commercio, più o meno legale, di questo prodotto preziosissimo. La Liguria era certamente la zona costiera più vicina, ma la sua conformazione fisica non ha mai permesso di avere stazioni per l’estrazione del sale. Il solo modo per rifornire le vallate del Piemonte occidentale di questo ricercato alimento era reperirlo dalla Provenza, lungo rotte che erano note già dai nostri antenati del Paleolitico. Accanto al commercio e alla diffusione del sale presto si sviluppò quello delle acciughe, pescate nel golfo di Marsiglia, e distribuite poi lungo le stesse rotte in barili di legno, alternate a strati di sale. Pare che le acciughe venissero usate per coprire gli strati di sale all’interno dei barili, cercando così di abbassare i dazi doganali, che erano molto più bassi sul pesce rispetto quelli sul sale, anticamente un prodotto molto costoso.
Antenati illustri. Questo spiega dunque la presenza dell’acciuga nella cucina piemontese, anche se non dobbiamo dimenticare che in epoca romana il pesce conservato sotto sale poteva vantare grandi estimatori sotto forma di un altro prodotto, il garum: una salsa liquida a base di interiora di pesce salato, probabilmente di origine greca, che i Romani aggiungevano come condimento e che avevano portato con sé in ogni loro territorio di conquista (quindi anche in Piemonte e nel Midi francese). Anche se fatto con le parti di scarto del pesce, si trattava in realtà di un condimento molto prezioso: ritrovamenti archeologici avvenuti nel Nord Africa e in Spagna, ci raccontano come i Romani costruirono apposite vasche di allevamento, accanto a quelle di lavorazione del pesce e quelle di fermentazione. Simile alla nostra colatura di alici, se ne ricavava anche una parte solida detta allec da cui potrebbe derivare la nostra pasta d’acciughe. Dunque l’acciuga è presente sulle tavole piemontesi sin da tempi non sospetti. Nella mia vallata d’origine, per esempio (la Val Pellice, che vide storicamente una delle Vie del sale transitare per il passo alpino della Conca del Pra, ndt.), un apprezzato spuntino si ottiene spalmando di burro una fetta di pane da condire poi con pasta o filetti d’acciuga. Il burro, alimento principe nell’alimentazione del pastore di montagna, pur non mancando nella Bagna Caoda, si accompagna qui all’olio d’oliva per probabile retaggio provenzale: esiste infatti una salsa molto simile che potrebbe essersi diffusa assieme ad altre tradizioni in queste zone (stiamo comunque parlando di un’unica area etnicolinguistica detta Occitania).
Un sapore per palati forti. Quello che è certo è che, come ogni ricetta tradizionale, ciascuna famiglia ha la sua versione: si tratta di un cibo contadino a lungo evitato dalla nobiltà a causa della gran quantità di aglio utilizzata (3 spicchi a persona) e oggi se ne conoscono anche varianti più delicate che prevedono l’utilizzo di panna o latte. Quello che non è cambiato è la convivialità della Bagna Caoda: nata nelle lunghe giornate invernali in cui non si poteva lavorare all’aperto, si prepara in grande quantità e si serve poi in piccole ciotole di terracotta con candela, dette sciunfiotte o fujot, che mantengono la salsa costantemente… caoda (!) in cui intingono poi varie verdure, cotte o crude, tipicamente autunnali o invernali. Il pane è da evitare perché assorbe troppa salsa, mentre il vero sfizio finale è strapazzare un uovo con il residuo di bagna avanzato nel proprio fujot. Sapevate che ad Asti esiste anche il Bagna Cauda Day, che solitamente si svolge alla fine di novembre?
Ndt. (La grafia corretta del suono “u” in piemontese è resa dalla lettera o, ecco perché io scrivo bagna caoda; la grafia bagna cauda, identica alla sua pronuncia, è accettata, ma non del tutto esatta!)
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