Che cosa fate quando il vostro mondo comincia a crollare? Io vado a fare una passeggiata e, se ho davvero fortuna, trovo funghi.”
Come non amare un libro che inizia in questo modo? Certo, leggere il sottotitolo “La possibilità di vivere nelle rovine del capitalismo” non può farci sperare in soli paesaggi autunnali e profumo di caldarroste.

Perché la fine del mondo citata nel titolo principale è proprio quella in cui ci troviamo ora, che vede una sorta di inizio con l’evento di Hiroshima (una sorta di capolinea del mondo in cui sbucò, però, dalla devastazione più totale… un fungo) e che si estende fino al nostro presente.
“Il terrore naturalmente dilaga, e non solo per me. In tutto il mondo il clima è fuori controllo, il progresso industriale si è dimostrato molto più letale per la vita sulla terra di quanto si immaginasse un secolo fa. L’economia non è più spunto di crescita o di ottimismo; con la prossima crisi economica potrebbero sparire tutti i nostri lavori. La questione non è solo la paura di nuovi disastri che irrompano: ci troviamo senza bussola, non abbiamo più storie che raccontino dove stiamo andando e perché.”

Cosa c’entra lo smarrimento dei nostri tempi, con la raccolta dei matsutake, particolarissimi funghi molto apprezzati in Giappone e protagonisti del libro?
“Sono funghi amati perché inaugurano la stagione autunnale. Il loro profumo evoca la tristezza per la perdita del sereno rigoglio dell’estate, ma risveglia anche la pungente intensità e la maggiore sensibilità dell’autunno. Abbiamo bisogno di tale sensibilità per affrontare la fine dell’estate serena del progresso globale: l’aroma d’autunno ridesta in noi una vita comune senza garanzie.”
Eccoci di nuovo qui: i funghi, nella loro bizzarria, ci aiutano a ragionare fuori dagli schemi, soprattutto in uno stato di emergenza (emergènza s. f. [der. di emergere]. – 1. L’atto dell’emergere; in senso concr., ciò che emerge. 2. a. Circostanza imprevista, accidente; b. Sull’esempio dell’ingl. emergency, particolare condizione di cose, momento critico, che richiede un intervento immediato). Ci troviamo in quel punto della storia dove, in cima alla montagna, guardiamo dietro di noi la foresta e ci accorgiamo che il deserto davanti è completamente diverso: ci serviranno le cose, gli schemi, le conoscenze imparate nel bosco?
A me interessa piuttosto la sfida di immaginazione di cui abbiamo bisogno per vivere senza questi corrimani che un tempo ci facevano credere di sapere, collettivamente, dove stessimo andando.”

“Si racconta che, quando nel 1945 Hiroshima fu distrutta dalla bomba atomica, la prima forma di vita a spuntare in quel paesaggio raso al suolo fu un fungo.
Comprendere l’atomo è stato il punto culminante dei sogni dell’uomo ossessionato dal controllo della natura. Ma ha segnato anche l’inizio della fine di quei sogni: la bomba di Hiroshima ha cambiato tutto. Di colpo ci siamo resi conto che gli uomini erano in grado di distruggere la vivibilità del pianeta -in modo intenzionale o meno. Questa consapevolezza è solo aumentata con le nostre progressive conoscenze a proposito di inquinamento, estinzione delle specie e cambiamento climatico. […]
Se vogliamo convivere con la precarietà non basta solo inveire contro chi ci ha portato qui (anche se farlo sembra comunque utile, non sono contraria). Dovremmo provare a guardarci attorno e osservare questo strano nuovo mondo, e dovremmo ampliare gli orizzonti della nostra immaginazione fino ad abbracciarne i contorni. E qui ci vengono in soccorso i funghi. La prontezza con cui i funghi spuntano in paesaggi devastati ci permette di esplorare le rovine in cui ora abitiamo tutti.”


C’è speranza dunque. A patto di essere disposti a rimettersi in gioco e ragionare in modo diverso.
I matsutake sono funghi selvatici che vivono in foreste perturbate dall’uomo. Come topi, procioni e scarafaggi, sono disposti a tollerare alcuni dei disastri ambientali causati dall’uomo. Eppure, non sono nocivi; sono una costosa prelibatezza -almeno in Giappone, dove a volte raggiungono prezzi stellari che li rendono i funghi più cari della terra. Grazie alla loro capacità di nutrire gli alberi, i funghi aiutano le foreste a prosperare in luoghi ostili. Seguire le tracce dei matsutake ci apre alla possibilità di coesistenza all’interno di perturbazioni ambientali. Non è una scusa per arrecare altri danni, ma un esempio tangibile di sopravvivenza collaborativa.”

Perché ci è così difficile ragionare secondo schemi diversi? Forse la Natura come ci viene insegnata a scuola non è davvero quell’ammasso di cose non-umane che si regola armonicamente per permetterci di vivere su questo pianeta?
“Vi è un legame tra economia e ambiente che mi sembra importante introdurre subito: la storia umana della concentrazione della ricchezza che trasforma umani e non umani in risorse investimento. Questa storia ha ispirato investitori a infondere nelle persone come nelle cose il concetto di alienazione, vale a dire la capacità di vivere indipendenti, come se gli intrecci della vita non contassero. Attraverso il processo di alienazione, le persone e le cose diventano beni mobili; possono essere trasferiti dal mondo in cui vivono, percorrere distanze considerevoli ed essere scambiati con altri beni di altri mondi, altrove.
[…]
L’alienazione evita che gli spazi di vita si intreccino. Il sogno dell’alienazione ispira modifiche del paesaggio in cui conta un solo bene isolato; tutto il resto diviene erbaccia o rifiuto. Così occuparsi di intrecci tra spazi di vita sembra inefficace, e forse persino arcaico. Quando l’unico bene non può più essere prodotto, un luogo può essere abbandonato. Il legname è stato abbattuto; il petrolio esaurito; il suolo non è più coltivabile? La ricerca di beni riparte altrove. Così, la semplificazione dell’alienazione produce rovine, spazi abbandonati dalla produzione di beni.”

Un concetto mi sembra molto importante: evitare che gli spazi di vita si intreccino. È proprio il concetto base di isolare per meglio manipolare. Ma è anche l’opposto di quanto sono e fanno i funghi, intrecci di micelio (che i giapponesi chiamano shiro e di cui non abbiamo -sintomaticamente- un termine equivalente). Il micelio è magico, al suo interno avvengono cose che ancora non conosciamo e di cui non comprendiamo a pieno neppure il funzionamento. Sappiamo solo che esiste da molto prima di noi. E potrebbe continuare a esistere dopo.

“I paesaggi globali di oggi sono cosparsi di rovine simili
(gli “spazi abbandonati dalla produzione di beni” di sopra, ndr). Ma questi luoghi possono essere vitali nonostante la loro morte annunciata; campi abbandonati a volte accolgono nuova vita multispecie e multiculturale. In una condizione globale di precarietà non abbiamo altra scelta se non quella di trovare vita tra queste rovine.”

Il primo passo, secondo l’autrice, è far risvegliare la curiosità. Se ci spogliamo dalle semplificazioni delle narrazioni del progresso, siamo pronti a esplorare la sostanza e l’energia che si trovano nei diversi spazi del mondo, nella ricchezza di possibilità che gli ambienti continuano ad avere anche quando il bene di sussistenza cessa di esistere e nelle storie che continuano ad essere valide anche se cambia il paradigma di chi detiene la ricchezza al momento.

Per quel che riguarda la nostra bolla, le storie antiche non hanno meno dignità della vita di Gesù solo perché chi governa il paese è di fede cattolica. Stiamo scivolando in un momento storico dove l’imposizione del cristianesimo, paragonando altre vicende globali, inizia a delinearsi come una forma di colonialismo ideologico e risultato di questo sono grandi piaghe sociali del passato (es. la caccia alle streghe).
Ma non tutto è perduto: i funghi c’insegnano che, anche nella devastazione, è possibile emergere in forme vitali e prosperare. L’importante è che gli spazi di vita tornino a intrecciarsi.

“Il fungo alla fine del mondo. La possibilità di vivere nelle rovine del capitalismo” di Anna Lowenhaupt Tsing, ed. Keller.