Le maschere rappresentano antenati ancestrali, non di quelli di cui si ricorda il nome e possono esser fatti risalire in una genealogia, ma quelli che -proprio perché al di sopra dei legami di sangue- sono parenti comuni. E per questo in grado d rinforzare il senso di comunità.
Lo facevano soprattutto nel periodo in cui le persone maggiormente si perdevano di vista, chiuse nelle abitazioni delle borgate di montagna o delle cascine della pianura per sfuggire al freddo. L’unico modo per mantenere i contatti era la visita serale, la vijà piemontese, la veglia, quando ci si riuniva nelle stalle per sfruttare il calore degli animali e raccontarsi le novità, i pettegolezzi, vedersi, cantare e ridere. Fare comunità, insomma. Nel contorno della stalla, godendo del calore emanato dagli animali, in una sorta di simbiosi tra bovini, ovini e umani, un prendersi cura ripagato in calore e cibo. In sopravvivenza, insomma.
Animali non casuali. L’antenato che si prendeva cura della propria gente era identificato in una creatura capace di sfamare l’umano, necessità primaria. I progenitori sono personificazioni di alberi importanti, ma in un contesto in cui si devono muovere, urlare, saltare (com’è il Carnevale) non stupisce che le maschere abbiano assunto i tratti ferini giunti fino a noi.
E con la stessa perplessità dello studioso di fronte al pantheon animale preistorico delle celebri caverne, in cui la maggioranza delle creature dipinte non sono quelle che si trovavano più diffuse fuori dalla grotta, non quelle più cacciate, ma quelle che rappresentavano qualcosa (ancora non sappiamo cosa) di speciale per quelle persone, ugualmente gli animali del carnevale tradizionale non sono esattamente quelle che abitavano le stalle. O meglio, non sono solo quelle.
Orso carnevalesco. L’orso è la maschera più diffusa perché -paradossalmente- è anche quella più umana. Dal folclore europeo ci giungono storie di importanti personaggi e genealogie originati da questo animale (santi, re, eroi culturali)… quindi, anche se non nella realtà, almeno nel mito l’unione tra umano e orso era possibile. Si ritiene che anche nella Preistoria l’orso godesse di uno status divino particolare grazie alla sua capacità di stare in piedi e al fatto che la sua zampa somigliasse più di altre alla mano umana. E questo suo ruolo di intermediario, e creatura a metà strada tra gli umani e la dimensione selvatica, è resa evidente dal fatto che gli orsi dei carnevali alpini non sembrano esattamente… orsi.
Quando indossano una pelliccia è di capra, per un valore simbolico o forse perché era quella più facile da reperire, ma più spesso sono rivestiti di elementi naturali: segale, muschio e ricci, sfojass (foglie di meliga).
Suggestive teorie. In Piemonte la maschera carnevalesca dell’orso prevedeva un suo turbolento aggirarsi nelle vie del paese tra urla, corse, rugli (il ruggito ursino) passando tra case e stalle per raccogliere offerte di cibo e vino. Spesso era previsto che si formasse un corteo alla fine del quale l’orso veniva catturato da cacciatori o scortato dai domatori e portato in catene; con questo, l’orso (la Natura), era completamente addomesticato. In alcuni carnevali la celebrazione terminava con la rasatura dell’animale, per rendere evidente a tutti la sua trasformazione in uomo.
Alcuni studi hanno posto l’accento sulla difficoltà nello stabilire chi, tra il domatore/cacciatore e l’orso, sia la figura più antica del corteo mascherato e s’ipotizza che le due maschere rappresentino un unico personaggio: secondo questa teoria il domatore rappresenterebbe, soprattutto nell’Europa dell’est, l’ultima metamorfosi degli sciamani possedevano la forza dell’orso.
E proprio il nuovo aspetto in paglia e cereali dell’orso sarebbe la prova del residuo sciamanismo evolutosi dallo stato di umanità di cacciatori-raccoglitori (in cui l’animale era una creatura divina con tutte le sue caratteristiche bestiali) a quello di agricoltori: invece di invocare lo spirito della preda uccisa e chiederne il perdono, si concepì un’essere semivegetale che -come il grano, la segale, le piante- a ogni decesso faceva seguire una miracolosa rinascita.
La maschera dell’orso giungerebbe dal nostro più antico passato e si sarebbe evoluta assieme a noi, cercando di rispondere sempre ai bisogni culturali di un’umanità in continuo cammino.
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Per approfondire.
Il rapporto tra l’orso carnevalesco e la Luna.
Il senso della maschera e una digressione su Arlecchino.
Le mascherate animali di Carnevale.
L’orso, il vero re della foresta.
L’orsa e Artemide.
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