Se siete frequentatori della montagna saprete che è comune imbattersi in testimonianze -piloni, cappelle, piccoli altari- dedicati alla Vergine madre (a meno che non siate nelle Valli Valdesi, ma questa è un’altra storia!). La Madonna protegge il paesaggio montano e chi lo frequenta da sempre, anche sotto forme inaspettate: i suoi luoghi di culto sorgono ovunque negli antichi posti sacri e a volte è affascinante ricostruirne la storia, i nomi, le modalità di venerazione… Io ho provato a farlo a Bard, un po’ più in là del famoso forte.
Di che si tratta? Che cosa sono precisamente gli scivoli della fertilità ce lo dice uno dei più grandi storici delle religioni, Mircea Eliade: “L’usanza detta ‘scivolata’ è nota: per avere figli le donne scivolano lungo una pietra consacrata […] Queste usanze, come abbiamo già detto, conservano ancora, in massima parte, la credenza che un semplice contatto con la roccia o la pietra consacrata è sufficiente a fecondare una donna sterile.” Disseminati in buona parte dell’Europa, se ne rinvengono parecchi anche sulla catena alpina, ma a Bard -all’ombra del celebre forte- due scivoli sorgono in un punto davvero singolare, che probabilmente per gli antichi era speciale perché costellato di segnali della fertilità della terra. D’altro canto, proprio in questa regione italiana, abbiamo parlato per la prima volta di aratura simbolica, a proposito dello straordinario sito megalitico di Saint-Martin-de-Corléans; qui, poco oltre le mura del forte, sorge una collinetta che nasconde simboli senza significato oggi, ma chiave di lettura per comprendere perché, proprio in questo luogo, le donne venissero a concepire i loro bambini.
L’incisione serpentiforme, le rocce montonate, le mezze lune, la marmitta dei giganti. Le rocce di cui vi parlo, come molte altre in Valle d’Aosta, recano impressi i segni del passaggio -nella notte dei tempi- del ghiacciaio Balteo: tra le varie manifestazioni curiose, che il lavorio di ghiaccio e roccia hanno creato, ci sono massi striati dall’aspetto cicciotto, detti rocce montonate, e alcune piccole, ma caratteristiche, fenditure a mezzaluna. Proprio accanto a queste piccole lune, di cui gli umani preistorici non potevano certo immaginare l’origine (e nemmeno io, se non avessi avuto la fortuna d’incontrare lì una geologa in visita che me lo spiegasse!) e che avranno senz’altro avuto per essi un valore sacro, troneggia un masso erratico di circa 2 metri d’altezza; il valore fallico di questo blocco di pietra potrebbe essere suggerito dalla presenza alle sue pendici di una piccola, misteriosa (e piuttosto rara, se non unica, nel repertorio italiano) incisione serpentiforme, che ricorda moltissimo le raffigurazioni rupestri di barche in Scandinavia. Sulla pendice della collina, verso il fondovalle, si trova poi una delle svariate Marmitte dei giganti, ennesimo scherzo lasciato dal Balteo, che si presenta come una profonda voragine del terreno… un letterale grembo della terra! Impossibile che un luogo dove, a brevissima distanza, si trovano un grembo e un fallo non diventasse nell’immaginario religioso antico un punto di eccezionale fertilità: il posto ideale dove persino le donne sterili potevano arrivare a generare la vita…
Il dio del fulmine e la dea degli inferi. La fertilità della terra ci catapulta nella sfera dell’agricoltura (esattamente dove ci trovavamo già con l’aratura simbolica fossile di Aosta): un buon raccolto e la purificazione dai peccati cadono, secondo Eliade, sotto la giurisdizione celeste di Zeus che inizia e purifica per mezzo del fulmine, rappresentato arcaicamente dal rombo e dalle pietre del tuono. Lo “Zeus patér (confronta Dyaus Pitar, Juppiter) […] che gli Elleni hanno portato con sé in tutte le loro migrazioni, rappresentandolo come un vero genio domestico, sotto forma di serpente”. Lo storico delle religioni aggiunge inoltre: “Questo elemento creatore è evidente in Zeus, non sul piano cosmogonico (dato che non fu lui a creare l’Universo), ma sul piano biocosmico: Zeus comanda le fonti della fertilità, è padrone della pioggia. È ‘creatore’, in quanto ‘fecondatore’. […] Ora questa ‘creazione’ di Zeus deriva anzitutto dall’intero dramma meteorologico, e specialmente dalla pioggia”.
Accanto alla pioggia, abbiamo l’altro grande elemento di fecondità, ovvero la luna, richiamata dalle piccole mezzelune e dalle spirali del serpente: il primo tempo umano fu senz’altro misurato a partire dal satellite e le sue fasi (la più antica radice indoeuropea relativa agli astri è me- e designa la luna; in sanscrito dà mami, “misuro”, ma tutti i vocaboli indicanti la luna, nelle lingue indoeuropee, derivano da questa radice); prendiamo ancora in prestito le parole di Eliade: “Il tempo controllato e misurato sulle fasi della luna è, dicevamo, tempo ‘vivo’, si riferisce sempre a una realtà biocosmica, pioggia o maree, semina o ciclo mestruale” e questo fa sì che fin dal Neolitico, con la scoperta dell’agricoltura, la luna, la pioggia, l’acqua, la fecondità di donne, animali e piante, così come il destino dell’essere umano dopo morto, venissero indissolubilmente legati allo stesso codice simbolico. Il serpente, animale lunare e allo stesso tempo tellurico, intrattiene strettissime relazioni con la donna e con la fecondità e fonte di ogni fertilità è la Luna la quale, contemporaneamente, sovrintende il ciclo mestruale. Ancora Eliade: “La luna può anche avere una personificazione maschile e ofidica, ma queste personificazioni (che spesso si sono staccate dal complesso iniziale per seguire una carriera autonoma nel mito e nella leggenda) sorgono, in ultima analisi, dal concetto della luna come fonte delle realtà viventi e fondamento della fecondità e della rigenerazione periodica”. Questo simbolismo è connesso alle spire e alla muta del serpente, al suo vivere sottoterra accanto ai morti, e significanti il potere di trasformarsi e rigenerarsi da se stesso, rendendolo onnisciente e capace di prevedere gli eventi; carattere che lo fa apparire poi al fianco di divinità femminili mediterranee (Gorgone, Persefone, Ecate). E le cosiddette Grandi Dee della fecondità universale possiedono gli stessi caratteri lunare-rigenerazione ciclica e tellurico-fecondità che, moltissimo tempo dopo e attraverso mille vicissitudini narrative, confluiranno nella figura di Maria; e ancor di più in quella delle Madonne nere. Ora, che voi ci crediate o no, dopo aver visto gli scivoli e le rocce di Bard, rientrando verso il paesino, alzate lo sguardo alla vostra destra e vedrete una piccola nicchia votiva contenente la statua di una Madonna. Nera, ovviamente.
L’ora di religione #21: le pietre sacre
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