Nei giorni in cui stavo cucendo, fra gli altri, il corpo e la testa di questa Masca, mi sono trasferita dal laboratorio (che in questa stagione raggiunge temperature -appunto- infernali trovandosi in una mansarda) al fresco salotto di casa mia e, invece di ascoltare qualche podcast, ho cercato un documentario dalle piattaforme video della televisione. Mi sono imbattuta in una serie dal titolo “Il lato oscuro dell’Europa”, in particolare una puntata dedicata all’Inquisizione e alla caccia alle streghe… Immaginate la mia sorpresa quando mi sono accorta che il documentario iniziava proprio con la vicenda di Zugarramurdi!
Dicembre 1608, Zugurramurdi. Siamo in “un piccolo villaggio di circa 400 anime arroccato sui Pirenei spagnoli, a ridosso del confine con la Francia. A pochi giorni da Natale, torna in paese Maria de Ximildegui, una ragazza di vent’anni che aveva lasciato il paese natio quattro anni prima per andare a vivere coi genitori nel paesino francese di Ciboure, nei Pays de Labourd: pochi chilometri di distanza, in sé e per sé, ma ovviamente altra nazione, altra cultura, altre leggi. Maria racconta infatti di essere tornata in Spagna perché, a Ciboure, rischiava la vita: il giudice Pierre de Lancre aveva appena lanciato una caccia alle streghe su larga scala (il che in effetti è vero, i tempi combaciano) e Maria temeva di essere condannata al rogo perché, in effetti, anche lei era una strega. O meglio, lo era stata: durante il suo soggiorno in Francia lei aveva praticato la stregoneria, poi si era pentita e aveva confessato tutti i suoi peccati, ma non solo. Durante i suoi anni di pratica magica, era venuta a conoscenza dell’esistenza di una congrega di streghe proprio nel suo paese natio, a Zugarramurdi, e adesso si sentiva in dovere di denunciare le colpevoli. La sua denuncia non si è conservata in originale ma è riportata in un manoscritto composto pochi più anni, nel 1613, noto come il Manoscritto Pamplona” come mi scrive Lucia nei suoi appunti.
Questo è il momento opportuno per migrare sul sito Una penna spuntata e leggere tutta la vicenda di Maria cliccando QUI.
Di seguito invece la cronaca della realizzazione della bambola, ma con moltissimi riferimenti storico-antropologici stavolta!
Immaginare Maria de Ximildegui. Nei paesi baschi, la storia nota come Las brujas de Zugarramurdi è celebre: nel paesino sorge un museo dedicato e c’è un itinerario di visita alle grotte che si dice ospitassero i sabba delle streghe (puoi vederle qui). Buon per noi, questa volta infatti la ricerca per creare l’immagine della Masca è stata piuttosto fruttuosa: cominciando dall’abito tradizionale, che Lucia mi aveva subito segnalato perché ad un certo punto -nel 1609- era stato vietato in Francia poiché l’inquisitore (quello da cui Maria cercava di scappare!) lo considerava equivoco e poco decoroso… e probabilmente, per farla breve, associato alla stregoneria. Il costume basco è contraddistinto da un copricapo particolare, chiamato burukoak: oggi è un vero e proprio emblema della minoranza culturale basca, ma è ugualmente simbolo delle streghe di Zugarramurdi, quindi non potevamo non farlo indossare alla nostra Maria. Solitamente di colore bianco, presenta una struttura di vimini o metallo a cui si arrotolano e annodano dai 2 agli 8,5 metri di tessuti come lino o cotone; ne esistono moltissime varianti e quelle più elaborate, ovvero con maggior quantità di stoffa per la realizzazione, erano appannaggio delle donne benestanti. C’è una curiosità: se il burukoak copriva anche collo e orecchie significava che la donna era sposata, le ragazze in età da marito potevano indossarlo con la nuca scoperta, come nel nostro caso (se erano più giovani, dovevano mostrarsi in pubblico con il capo rasato poiché sfoggiare i capelli lunghi equivaleva a una vera provocazione). Agli occhi della studentessa di antropologia che sono (stata) questi imponenti copricapo appuntiti hanno però una straordinaria somiglianza con altri diffusi soprattutto nelle steppe eurasiatiche: si ritiene che i primi sciamani delle steppe furono donne e il loro essere in contatto con dei e spiriti per curare malattie o ottenere conoscenze sovrumane non ci allontana troppo dall’idea europea della strega. Scrive l’archeologa J. Davis-Kimball: “In Europa, intorno al 1400, il copricapo conico subì una drammatica metamorfosi, trasformandosi nel nero cappello a punta con il quale la cultura patriarcale identificò le streghe, donne che furono punite e arse vive al rogo per trasgressioni immaginarie”. Direi che che le streghe dei Pirenei calzano a pennello come esempio di ciò.
Rospi e borsette. La ricerca compiuta attraverso le foto di chi ha visitato il Museo de las brujas mi ha fatto incappare in un particolare simbolo intagliato nel legno: si tratta del lauburu (lau buru significa “quattro teste” in lingua basca) e “prende il nome dalla parola latina labarum che a sua volta deriva dal termine di probabile matrice celtica làbaro, uno stendardo utilizzato in battaglia dai Cantabri (un popolo che in età pre-romana abitava quella zona della penisola iberica che sarebbe poi diventata la regione della Cantabria)” secondo quanto ci dice Wikipedia. Ecco perché abbiamo deciso di farne l’amuleto di Maria: solitamente era usato come talismano portafortuna e intagliato sulle porte delle case per allontanare il male e attirare la buona sorte… direi che con la nostra strega funzionò alla grande! Noi abbiamo scelto di riprodurlo su una piccola sacca a tracolla: dentro potrebbero esserci gli oggetti che portò con sé dalla Francia alla Spagna, oppure erbe medicinali e… un rospo da accudire!
Un altro elemento di questa che mi ha colpita, soprattutto per la sua collocazione geografica (i Paesi baschi sono contraddistinti da un idioma detto paleoeuropeo, precedente cioè l’invasione delle popolazioni indoeuropee ed è possibile che in quella cultura persistano caratteristiche risalenti ai primissimi abitanti del nostro continente) è infatti il rapporto che le streghe avevano con il rospo: si tratta di uno dei più famosi famigli, ossia l’animale da compagnia della strega, in realtà uno spirito maligno, servitore della strega, che prende l’aspetto spesso di gatto, gufo, corvo, civetta… e rospo. Ma è riportata la pratica insolita di queste streghe di accudirne, coccolarne e vestirne uno durante il proprio periodo di apprendistato. E agli occhi della studentessa di storia delle religioni che sono (stata) non è sfuggito come questo animale fosse uno dei cosiddetti animali della Dea: epifania della divinità femminile venerata in Europa proprio prima dell’arrivo degli Indoeuropei.
Nelle campagne europee il rospo è da sempre presagio di gravidanza, una credenza che ha origini antichissime attestate da incisioni e statuette preistoriche di dee rospe; a tal proposito scrive M. Gimbutas: “È piuttosto stupefacente che su una tavoletta votiva del 1811 trovata in una chiesa bavarese una rospa con una vulva umana sulla schiena appaia insieme alla Madonna”. Simbolo sia di vita che di morte, non stupisce che Ecate, dea lunare che presiede alla magia, avesse per epiteto Baubo, “rospa” e che nel folclore europeo i termini per indicare quest’animale si riferiscano anche a streghe e profetesse: “Incarnando i poteri della Dea di Morte e Rigenerazione la rospa possedeva sia la funzione di portare la morte sia quella di ridare la vita”. Nulla di strano che, in tempi dominati dalla rigida visione maschile clericale, quest’animale fosse diventato un fedele compagno delle brujas de Zugarramurdi!
Per chi fosse interessat* qui c’è il link al documentario di cui parlavo all’inizio del post.
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