Come avete forse avete avuto modo di leggere in altri angoli di questo blog, sono nata e cresciuta in una zona dell’Italia a tradizione protestante, per questo motivo -dato che i Valdesi non hanno culto per i santi- sono davvero ignorante in materia. Oggi, 6 dicembre, so che in molti paesi italiani un santo porta mele a grandi e piccini, San Nicola. Ecco cosa ho scoperto su di lui e su questa curiosa tradizione.
Protettore dei bambini. San Nicola, o San Nicolò, nacque in Turchia fra il 260 e il 280 d.C. in una ricca famiglia del posto. Rimasto orfano, si trovò a ereditare un grande patrimonio che egli però utilizzò per aiutare i poveri, regalando cibo e denaro che di solito calava di nascosto giù per il camino delle abitazioni (vi ricorda qualcuno?). Sono molte le leggende che lo riguardano e spesso parlano del suo rapporto con i bambini: una narra, per esempio, di come Nicola avesse deciso di aiutare le tre figlie di un nobile decaduto lanciando per tre notti di seguito del denaro avvolto in un panno. Anche da vescovo continuò a occuparsi dei piccoli, arrivando addirittura a resuscitarne tre in uno dei suoi miracoli. Proprio in uno di questi racconti ritroviamo le mele: un giorno regalò a tre bambini, talmente poveri da non potersi procurare neppure un po’ di cibo, tre belle mele apparentemente normalo che però nel corso della notte si trasformarono in straordinari frutti d’oro, permettendo così alla famiglia dei bimbi di venderle e arricchirsi. Da qui l’usanza di regalare le mele nel giorno di San Nicola.
Il santo in Europa. Nei paesi del Nord Europa San Nicola è chiamato Santa Klaus poiché la leggenda della generosità del santo crebbe a dismisura dopo la sua morte, trasformandolo nel famoso personaggio chiamato poi Babbo Natale, un vecchietto dalla lunga barba che una volta all’anno gira per le case calandosi nei camini per portare dolci e giocattoli ai bambini. Sempre in area europea, dalle Alpi in su diciamo, le leggende su San Nicola lo vedono sempre accompagnato da un altro personaggio che ne fa da contraltare, in quanto figure spaventose, diaboliche, al limite dell’umano. Questo probabilmente perché prevaleva la funzione pedagogica del santo che giungeva sul fare del Natale per constatare se i bambini si fossero comportati bene e, in caso contrario, il suo accompagnatore-nemesi provvedeva a punire -o quanto meno a spaventare- i piccoli con smorfie, urla e minacciando punizioni corporee.
Come maschera natalizia. Si tratterebbe però anche di due mondi che vengono fatti coesistere, quello cristiano e ciò che è sopravvissuto delle credenze pagane. San Nicola e il suo compagno diventano in Europa due perfetti yulers, figure tipiche del Natale e, in quanto tali, portatori di luce (luce che è tema centrale della festa e celebrazione della sua momentanea sparizione al solstizio d’inverno). Al pari di tutte le tipiche maschere del periodo, anche questi due rappresentano un meccanismo umano di inglobare le paure derivanti dall’essere in balìa della natura e degli eventi, cercando di controllare e dirigere l’evolversi del tempo. Le maschere (questo diviene di fatto anche Nicola nell’ambito natalizio, estrapolato dal culto del santo cattolico) concretizzano il momentaneo cadere nel caos e il risorgere da esso e non deve stupire che l’azione di molte di esse poggi sul meccanismo dello scambio: in origine non erano loro a portare i doni, ma era il donare loro qualcosa che permetteva alle persone di liberarsi della loro presenza (e, rientrando nella propria realtà caotica primordiale pienamente soddisfatti, gli yulers lasciavano anche la dimensione umana investita di quella magica sostanza feconda di cui si componeva il mondo dei morti e che prometteva messi abbondanti). Da qui, da questa ideologia dello scambio potrebbe aver avuto origine l’usanza che le maschere, i babbi e i santi portino i doni ai bambini. In cambio del loro comportarsi bene, s’intende.
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