Fino al 153 a.C. qui da noi l’anno nuovo iniziava in marzo, quando la vita si risveglia dopo l’apparente morte invernale. Esistono una moltitudine di riti e credenze che si rifanno all’antica concezione del calendario: si ritiene che i Carnevali europei siano il residuo delle feste che davano il benvenuto alla nuova stagione, con il loro sovvertimento delle normali regole sociali e il contatto ravvicinato con il mondo dei morti o del caos selvaggio della foresta. Il mese di marzo è in tutta Europa dedicato al dio della guerra (Marte o Thor), ma larga parte delle sue celebrazioni sono per le figure femminili dispensatrici di vita e fecondità. A marzo si scorgono di nuovo le Pleiadi nel cielo e il lavoro nei campi poteva ripartire… a noi è rimasto lo zodiaco, il cui primo segno è proprio quello dell’ariete marzolino. Il mondo contadino è quello che ha mantenuto vive le tradizioni delle nozze sacre tra divinità agresti e ora vediamo insieme da dove tutto ciò sia derivato…
Marzo nella Grecia di Dioniso. La festa più importante di inizio anno, che si svolgeva nel mese di Antesterione -gli odierni febbraio-marzo- era la Festa dei fiori, le Antesterie appunto, dedicate a Dioniso e al risveglio della vegetazione. Le celebrazioni si svolgevano fuori dalla città, presso le paludi, una dimensione liminare che agevolava il contatto con il mondo dei morti e dove la moglie del sacerdote andava simbolicamente in sposa al dio a nome della città. Si festeggiava anche il vino nuovo, con grandi bevute, canti e balli e un generale sovvertimento delle regole sociali. Vicino al nostro Carnevale nei toni, si trattava di una vera festa di Capodanno, in cui i morti passeggiavano tra i vivi consumendo cibi appositamente preparati per loro e mettendo così in moto, grazie alla loro presenza, il ciclo della vita: i defunti, in quanto abitanti degli Inferi, erano considerati dispensatori delle ricchezze del sottosuolo, in questo caso della vita vegetale, e lo stesso Dioniso è al contempo dio della fertilità e della morte. Alla divinità erano poi dedicate le Grandi Dionisie nel mese di Elafebolione (marzo-aprile).
Roma, Marte e le matrone. Il calendario di dieci mesi imposto da Romolo prevedeva che il primo mese dell’anno fosse Marzo, dedicato al padre Marte, divinità in antico preposta alla sfera dell’agricoltura e della guerra (questo era il momento in cui si riprendeva il lavoro nei campi e si preparavano le armi per la guerra). Ma forse più che a Marte in questo periodo si onorava la madre del dio, Iuno o Giunone, soprattutto nella sua versione di Iuno Lucina, dea del matrimonio e del parto, che finì per diventare protettrice dello Stato, e la cui fa festa si celebrava alle calende di Marte (I° marzo), dette calende della femmina, perché dedicata alle donne. Anche se le feste centrali del mese erano dedicate alle divinità orientali di Cibele e Attis -coppia divina che simboleggiava la morte e resurrezione dello spirito arboreo– di particolare importanza erano le Matronalia del primo giorno di marzo, l’antica festa delle matrone (pare risalisse a quando le donne sabine scongiurarono la lotta tra padri e mariti a seguito del celebre Ratto delle Sabine) in cui le donne romane sposate offrivano banchetti e doni ai loro schiavi, in un rovesciamento dei ruoli già visto ai Saturnalia. Giunone, prima di essere assimilata alla greca Era, veniva raffigurata coperta di una pelle di capra, simbolo dell’originario ruolo di dea della fecondità dei campi, in quanto Signora della pioggia e del tempo atmosferico. A testimoniare inoltre l’antichità del culto possiamo citare la dea etrusca Uni con corna e orecchie di capra, assimilata poi a Giunone (il cui nome latino Iuno deriverebbe dalla stessa radice di iunior, più giovane e iunix, giovenca, andando a personificare la forza generatrice della giovinezza e di tutto ciò che nasce). Anche la versione greca Era è in realtà ben più complessa della gelosa e vendicativa moglie di Zeus: si tratta di una dea ben più antica, venerata soprattutto dalle donne, il cui nome potrebbe essere connesso a Hora, stagione, significante “dea dell’anno” o “il mutare delle stagioni”…
Anna Perenna e le altre. In area scandinava la connessione di un dio della guerra con una figura femminile della fertilità è impersonato dalla coppia divina Thor-Sif: se particolarmente venerati erano i “giovedì del mese di Thor” (thursday, a causa dell’assimilazione del dio norreno con Giove e Zeus, per la comune funzione di divinità del tuono), il 25 marzo viene identificato con il Day of Spring Lady, giorno in cui si uniscono sia la credenza cristiana del concepimento di Gesù (Maria viene perciò accostata a una figura stagionale primaverile), sia il Crane Day, giorno in cui le gru tornano a nord, segnando l’inizio della primavera, un po’ come l’orso con la Candelora da noi. Ma restando nell’Urbe possiamo renderci conto come marzo/inizio dell’anno collimasse con l’arrivo della primavera, tramite le sue figure femminili connesse al risveglio e alla potenza della natura, dal calendario festivo: Iside era festeggiata il 5 e il 20 marzo; il 17 marzo in antico si onorava Libera, dea agreste legata al suolo che andava in coppia col dio Liber; il mese si chiudeva poi con le celebrazioni in onore della dea Luna, il 31 marzo: regolatrice delle stagioni, già venerata da Etruschi e Sabini, veniva raffigurata con una falce lunare sul capo. Ma la festa più importante, soprattutto per il popolo, cadeva il 15 marzo ed era dedicata ad Anna Perenna, dea dell’anno nuovo e della vegetazione annuale: le celebrazioni si svolgevano in un bosco vicino Roma, con l’augurio di “Annare perennareque commode“, vivere piacevolmente tutto l’anno. Con l’arrivo della primavera infatti, i Romani festeggiavano con canti e balli, banchetti, bevute e sesso… una sorta di Carnevale il cui scopo era sovvertire le regole e permettere al Caos d’invadere momentaneamente la vita di tutti i giorni, rimettendo così in moto l’energia della natura dopo il torpore invernale.
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