Re Artù, la cui radice del nome è da far risalire all’orso, secondo la letteratura vernacolare sarebbe morto attorno all’11 novembre, periodo in cui quest’animale va in letargo. Di più, secondo la tradizione la data in cui avrebbe estratto in gioventù la celebre spada dalla roccia sarebbe il 2 febbraio -giorno che poi diventò la Candelora– ma che nel mondo pagano segnava il momento in cui l’orso si risvegliava dal letargo riportando con esso la primavera: ci sarebbe perciò un legame simbolico tra la fine del sonno invernale dell’uno e il momento in cui il re-orso esce dall’ombra per diventare uno dei personaggi più famosi della storia europea. I Celti, popolo da cui discende la figura di Artù, consideravano in effetti l’orso più di tutti come simbolo di supremazia e potere e non stupisce che nella loro cultura fosse un attributo di regalità. Ma, come scrive Michel Pastoureau, l’orso è stato nell’antichità anche: “un compagno dell’uomo, un parente, un antenato, un doppio, forse un dio e una divinità tutelare”.
Diventare orso. Tra le figure legate all’orso possiamo citare i Berserkir, leggendari guerrieri di Odino, noti per praticare rituali quali il consumo di sangue e carne d’orso e vestirne la pelle per acquisire tutto il suo vigore fisico: attraverso queste pratiche d’impronta quasi sciamanica, i guerrieri compivano una simbolica trasformazione in animale, sorta di orsi mannari propri del mondo nordico e germanico celebri per la loro brutalità. Troviamo un’immedesimazione più moderata del guerriero nell’antroponimia: chiamarsi con un nome costruito sull’immagine ursina, significava mutarsi nell’animale e godere di tutti i suoi poteri (ne è un esempio il dio Thor, conosciuto anche come Thorbiörn, dove björn significa orso in antico norreno). Il nome dell’orso nelle lingue dell’Europa del nord suona pieno di forza e vigore, però non si costruisce su radice indoeuropea (rks-, arks- o orks-) e viene anzi nominato attraverso perifrasi e aggettivi: questo solitamente nelle società accade quando un nome non dev’essere pronunciato, spesso con animali e vegetali dal forte potere simbolico, che giocano un ruolo centrale nel sistema di credenze, pratiche e tradizioni culturali (storicamente, in Europa ciò è accaduto soprattutto con l’orso e il serpente).
Re degli animali (e degli uomini). Per i popoli del Nord e del Nord-Ovest europeo l’orso era naturalmente diventato il re della fauna selvatica ed emblema di capi e guerrieri: Celti, Germani, Slavi, Lapponi e Balti lo consideravano animale a parte rendendolo, sotto vari aspetti, oggetto di culto (cosa che non accadde in area mediterranea dove c’era una certa famigliarità con le forti bestie esotiche dei circhi romani). Per i guerrieri germani l’orso più che essere vivente, era incarnazione di forza e potenza, per questo cercavano “di paragonarsi a lui, affrontarlo, vincerlo, investirsi delle sue forze, farne contemporaneamente il loro emblema e il loro antenato”; insomma era l’animale totemico per eccellenza. E non stupisce che il rito di passaggio dei giovani guerrieri consistesse (tradizione ancora attestata nella Germania settentrionale e in Norvegia dopo la cristianizzazione) in una lotta corpo a corpo contro uno di essi armati solo di pugnale, usanza sopravvissuta poi nella letteratura del XII secolo con le contese fra l’orso e Orlando, Tristano, Lancillotto… e lo stesso Artù: di tutti gli animali tipici d’Europa, era quello che certamente evocava l’idea di forza, associata a resistenza alla fatica, alle intemperie e al coraggio (praticamente senza nemici in natura).
Raccontare l’orso. In Grecia gli animali non sono mai divinità, solo attributi degli dei; non di meno è noto il legame tra l’orso e la vergine Artemide, figlia di Zeus e gemella di Apollo, dea della luna, dei boschi e delle montagne, oltre che degli animali selvaggi. Ci sono giunti due miti che collegano la dea all’animale: la sacerdotessa di Artemide, Callisto, tramutata assieme al figlio nelle costellazioni della Grande e della Piccola Orsa e Ifigenia che scampò al sacrificio, venendo trasformata in orsa, per intervento della dea. Se diamo retta all’etimologia, Artemide è dea degli orsi, oltre che delle creature selvatiche in generale, poiché il suo nome s’innesta sulla radice indoeuropea che indica l’animale (art-, ma anche arct-, ors-, urs-), in greco arktos e le cui sacerdotesse erano le arktoi, ovvero orsette. Nella mitologia celtica gli eroi che presentano un carattere ursino sono stati spesso allevati da una dea orsa/fata protettrice degli orsi: è il caso della dea Artio, venerata nella regione della Germania meridionale e della Svizzera, il cui attributo era proprio l’orso, e che veniva raffigurata con una cornucopia, a significare la sua connessione con la fertilità, oltre che la caccia; tal proposito riproponiamo il caso di Artù e si noti che la radice del nome è sempre la stessa.
(Ri)trovare l’orso. Nella preistoria uomo e orso abitavano lo stesso ambiente, condividendo le stesse caverne e cacciando uguali prede; la più antica testimonianza di questo rapporto risale a 80.000 anni fa ed è una sepoltura in cui orso e uomo (Homo neanderthalensis) erano inumati assieme: significa probabilmente che già allora questa specie non era considerata al pari delle altre, ma aveva un carattere speciale, forse di mediatore con l’aldilà, segno di un pensiero religioso ancora in formazione, ma già presente. Nelle caverne, benché l’orso non sia l’animale più raffigurato -bisonti e cavalli sono i più numerosi- è stato però oggetto di disposizioni particolari di ossa e soprattutto di crani… gli studiosi si domandano da tempo se queste pratiche possano indicare un antico culto dell’orso. Millenni separano la sepoltura del Neanderthal con l’orso delle caverne dai più recenti Cro-magnon che hanno lasciato testimonianza del loro rapporto con l’orso bruno nelle disposizioni ossee, ma il valore simbolico di questa relazione non sembra essere cessata. Abbiamo poi visto come nella preistoria la sacralità dell’orsa fosse connessa con la maternità, considerata un’antenata, una madre e, come suggerirebbe la radice antico-europea bher- significante “partorire”, sarebbe legata alla nascita attraverso la gravidanza e il parto. Non vi sono testimonianze archeologiche di orsi su monili femminili, ma abbondano le statuette di Orse Nutrici e Madonne Orse in forma di donne che indossano una maschera ursina e sostengono un cucciolo d’orso, quasi a dimostrazione come il genere dell’animale significasse due concetti ben distinti: l’orsa era madre, l’orso era guerriero.
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