I romani, si sa, amavano le belle feste e i Saturnalia non facevano eccezione: in questo periodo case e focolari venivano decorati per l’occasione con rami di piante quali vite, edera e simili. Anche gli antichi egizi, abbiamo visto, che non avevano alberi sempreverdi, ma avevano palme simbolo di resurrezione e di rinascita, addobbavano così le proprie abitazioni. Ancora recentemente le persone portavano le fronde di alberi sempreverdi nelle loro case durante il solstizio d’inverno, origine della moderna tradizione dell’albero di Natale.
Simboli decorativi. Se a metà dicembre le case dei Romani si arricchivano di rami di edera, vischio, agrifoglio e anche Celti e Germani erano grandi fan di queste piante… cerchiamo d’immaginarci lo scenario: si raccoglievano anche pigne e bacche piacevoli non solo alla vista, ma si introducevano anche i profumi della vegetazione nelle abitazioni durante il Natale. Le molte ore di buio che non permettevano il lavoro nei campi hanno senz’altro dato vita a una serie di racconti e manufatti che ritroviamo tutti ancora oggi in questi giorni (e molti li stiamo scoprendo insieme grazie a questo calendario!).
Abbiamo visto che, fondamentalmente, i simboli di Natale sono dedicati ad alcune grandi tematiche: la luce, la rinascita, l’abbondanza. I simboli che ricordano il primo tema sono le candele, le luci e le luminarie, ma anche i soli e i simboli solari/stellari che si trovano sull’albero di Natale. Il tema della rinascita è rappresentato da tutti i complementi vegetali degli addobbi: vischio, edera e agrifoglio sono doppi di immortalità e rigenerazione. Le ceneri del ceppo di Yule avevano invece il potere di portare prosperità e protezione, la stessa abbondanza che rappresentano le varie figure mitiche sopravvissute fino a noi e che portano regali ai bambini.
Considerazioni personali. Ci siamo inoltre imbattuti nei giorni scorsi, in correnti cristiane che disapprovano alcune tradizioni cosiddette pagane (a proposito dell’albero di Natale, ma direi che il discorso si può estendere a molte altre consuetudini); sorge spontanea la domanda: perché il Natale è una festa così sentita, tanto da essere celebrata anche da persone che si ritengono non cristiane?
Il Natale oggi è l’insieme di celebrazioni collocate precisamente nel calendario liturgico cristiano, a cui si sono aggregate usanze locali diverse, che danno vita a “un articolatissimo modello costituito da rituali, simboli, miti (nel senso di narrazioni di riferimento) condivisi e per molti versi sganciati dall’occasione religiosa di partenza” scrisse il mio relatore di tesi, professore di storia delle religioni.
In sostanza, al di là della polemica che i non credenti sono di fatto obbligati a stare a casa perché i posti di lavoro sono chiusi, credo che una festa come il Natale tocchi delle corde che vanno oltre la spiegazione dell’interiorizzazione di riti e miti ancestrali (secondo cui alcuni archetipi sarebbero quasi innati in noi, tramandati dalla notte dei tempi in qualche parte del nostro inconscio). Tocca punti sensibili della nostra natura di Homo sapiens: la famiglia intesa come gruppo, comunità di individui, branco; il calore del fuoco e l’abbondanza del cibo, un tetto sicuro sopra la testa… sono elementi che contraddistinguono il racconto della nascita di Gesù (eccetto forse il cibo) e che si possono riassumere nella parola Sopravvivenza. La gratitudine di Odino che concede beni significa la benevolenza di dio, degli dei, del destino. Il sole che torna a sorgere è la speranza di essere ancora vivi domani. Circondarsi di elementi vegetali che acquistano nei secoli valore di immortalità e rigenerazione rappresenta l’unica vera lezione: che siamo su questa terra individualmente per un breve periodo, ma lo saremo a lungo come specie. E come specie animale, ciò che è davvero importante è sopravvivere. Come questa necessità di sopravvivenza giunga ai nostri occhi sotto forma di un albero di Natale o come un bambino nato in una stalla… è il mistero strabiliante di essere umani.
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