Ci sono piante particolarmente legate al periodo natalizio e di solito questo accade perché sono connesse a miti, leggende o usanze antiche. Ancora oggi ci sorprendono perché nel panorama vegetativo invernale, spoglio e silente, si distinguono per un fogliame splendente, sono all’apice della fioritura oppure presentano bacche o frutti: sono caratteristiche che non potevano sfuggire ai nostri avi che vivevano a diretto contatto con la Natura. Ma a noi, oggi… che cosa raccontano?
Magico vischio. Il vischio è una curiosa pianta sempreverde di aspetto cespuglioso, parassita di diversi alberi (querce, tigli, noci, meli e conifere tra gli altri) produce fiori gialli e soprattutto bacche tonde bianche che lo rendono immediatamente riconoscibile; queste bacche risultano tossiche per l’uomo, ma non per gli uccelli che le disperdono sugli alberi dopo essersene cibati e sui quali esso s’insedia: da un minuscolo punto di penetrazione inizia la crescita di un piccolo tronco e lentamente si sviluppa l’intera pianta… Se le bacche cadono però a terra non germogliano e muoiono, un mistero che senz’altro non era passato inosservato agli antichi. Dai druidi ai vichinghi, tutti hanno conosciuto la pianta del vischio e l’hanno considerata portatrice di proprietà magiche; è associato a diverse divinità, tra cui i norreni Frigg e Baldr (dopo che il figlio venne ucciso da una freccia di questo legno, Frigg cominciò a piangere e le sue lacrime si trasformarono nelle bacche del vischio), ed è collegato alla prosperità e alla fertilità. Plinio scrisse che i più anziani tra i druidi eseguivano rituali in cui raccoglievano il vischio dalle querce con falci d’oro: veniva raccolto in luna crescente e poi somministrato agli animali per garantirne la fertilità. Anche gli antichi romani, che onoravano il dio Saturno, praticavano rituali di fertilità sotto il vischio… cosa che avrebbe potuto dar vita alla nostra odierna usanza, decisamente più pudica, di baciarci sotto un rametto di questa pianta. Secondo altri la tradizione del bacio sotto il vischio, da associarsi alla pace e alla fine della discordia, deriva dalle saghe nordiche che narrano di guerrieri di tribù opposte che si incontrano sotto il vischio e depongono le armi.
Edera immortale. L’edera sopravvive spesso alla morte della pianta ospite: ecco perché è simbolo della vita che va avanti, nel ciclo infinito di vita, di morte e rinascita. Per questo motivo forse i Celti la consideravano una pianta sacra legata all’immortalità e ai simboli del serpente e del drago; era considerata anche segno dell’eternità della Natura. L’edera è talvolta associata all’agrifoglio, altro simbolo invernale, rappresentando entrambi la resurrezione e l’eternità (forse perché spesso si può osservare l’edera avvolgersi all’agrifoglio); in ambito anglosassone questo legame è molto evidente ed è anche protagonista di una famosa ballata che recita:
“The holly and the ivy
When they are both full grown
Of all trees that are in the wood
The holly bears the crown”.
(L’agrifoglio e l’edera, quando sono entrambi completamente cresciuti, di tutti gli alberi che sono nel bosco, l’agrifoglio porta la corona).
L’edera inoltre fruttifica in inverno ed è simbolo pure di fedeltà e lealtà: si usa nelle decorazioni natalizie per rappresentare i legami di famiglia e amicizia… nella storia di Tristano e Isotta cresce tra le tombe distanti dei due protagonisti legandoli insieme, anche nella morte.
La protezione dell’agrifoglio. Nell’ideale culturale l’edera è legata alla femminilità come l’agrifoglio lo è alla sfera maschile e anticamente gli venivano attribuite proprietà di portafortuna e protezione dai demoni. La tradizione celtica vuole che questa pianta restasse verde, con bacche rosse e foglie lucide per rendere bella la terra, nonostante l’inverno quando gli alberi, soprattutto la sacra quercia, rimanevano senza foglie. Si dice che i druidi mettessero tra i capelli ramoscelli di agrifoglio nel corso dei loro riti segreti, ma era usato anche dai romani come pianta sacra a Saturno e perciò utilizzato come ghirlanda durante i Saturnalia per rendere onore al dio. Il legame tra l’agrifoglio e il mese di dicembre giunse ai primi cristiani che lo usarono come decorazione per celebrare la nascita di Gesù.
In Irlanda questa pianta era particolarmente apprezzata perché, fiorendo durante la stagione natalizia, permetteva anche alle famiglie molto povere di addobbare la casa grazie ai suoi rami carichi di colore e alle sue proprietà scaccia demoni; in Germania si crede che un pezzetto di agrifoglio usato per decorare la chiesa sia un ottimo amuleto contro lampi e tuoni (una qualità che condivide con il ceppo di Natale provenzale ed evidente preoccupazione dei nostri nonni!).
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