“Quando iniziai a interrogarmi sul significato dei segni e delle figure ricorrenti sugli oggetti di culto e sulla ceramica dipinta del Neolitico europeo mi resi conto, con stupore, che erano i pezzi di un gigantesco puzzle, del quale due terzi erano andati perduti.Le credenze delle popolazioni agricole […] vivono ancora oggi, così come vivono aspetti molto arcaici della Dea preistorica, nonostante il continuo processo di erosione in era storica. Trasmesse da nonne e madri della famiglia europea le antiche credenze sopravvissero alla sovrapposizione dei miti indoeuropei e in seguito cristiani. La religione incentrata sulla Dea esisteva da moltissimo tempo, ben prima dell’indoeuropea e della cristiana (che rappresentano un periodo relativamente breve della storia umana), lasciando un’impronta indelebile nella psiche occidentale”.
Un’unica Grande Dea con le sue funzioni: dare la vita, governare la morte, rigenerare e rinnovare. Un’analogia immediata con la Natura stessa nella sua molteplicità di fenomeni e cicli ininterrotti. Il simbolismo della Dea costruito attorno alla cognizione che la vita sulla Terra è in perpetua trasformazione, una ritmica alternanza fra creazione e distruzione, nascita e morte. Questi sono i temi centrali affrontati da Marija Gimbutas nel suo Il linguaggio della dea, volume di archeologia che ha cambiato il corso degli studi preistorici e la visione del nostro passato più remoto. Che nome dare a questa dea? Gimbutas preferisce il termine “Grande Dea” che ne descrive meglio il dominio assoluto, i suoi poteri creativi, distruttivi e rigenerativi. “La Dea -scrive- è immanente piuttosto che trascendente e perciò si manifesta in forme fisiche”: è inesatto chiamare le immagini paleolitiche e neolitiche “Dee della fertilità” perché non solo a questa funzione attendevano; ma anche “Dea Madre” è un concetto distorto poiché il termine madre è in qualche modo riduttivo e non consente di apprezzarne la sua totalità.
Il pensiero antico era incentrato sulla celebrazione della vita, senza stagnazione, in cui l’energia della vita era in costante movimento. Ciò non significa che la morte fosse trascurata, ma la profonda percezione della periodicità della natura indusse la credenza nella rigenerazione della vita al momento critico della morte: non c’era solo mera morte, ma morte e rigenerazione. In tutte le sue manifestazioni la Dea era simbolo dell’unità di tutta la vita in Natura. “Tale cultura trasse intenso piacere dalle meraviglie naturali di questo mondo. La sua gente non produsse armi letali, né forti in luoghi inaccessibili”.
La Dea si manifesta in forme molteplici ma in definitiva è un’unica indivisibile Dea. Può avere l’aspetto omicida dell’avvoltoio, ma i simboli associati all’aspetto di morte non esistono separati da quelli che promuovono la rigenerazione, anzi ne sono intrecciati: “Nel suo aspetto di morte è il Fato stesso che dispensa la vita, ne determina la durata e la riprende quand’è giunto il tempo. Fa ciò perché controlla la durata del ciclo vitale. La Reggitrice di Morte non punisce gli umani perché hanno compiuto il male o per qualche motivo analogo: esegue soltanto il suo indispensabile dovere.” La rigenerazione ha inizio al momento della morte, comincia nel corpo della Dea; il potere della Creatrice di Vita e Rigeneratrice era negli animali, nelle piante, nell’acqua, nei monti e nelle pietre.
Ulteriori funzioni della Grande Dea attengono alla fertilità: il processo di risveglio stagionale, crescita, ingrassamento e morte accomuna umani, animali e piante; la gravidanza di una donna, l’ingrassamento di un animale, la maturazione di frutti e raccolti erano collegati e s’influenzavano a vicenda. La fertilità non s’identificava con la sessualità, ma indicava moltiplicazione, crescita, fioritura. Qui troviamo anche i simboli delle Divinità maschili della vegetazione che sorge, fiorisce e muore: il Dio giovane, forte, fiorente e il Dio vecchio, afflitto, morente.
La detronizzazione delle Dee antico-europee, la scomparsa dei loro templi e dei segni sacri è un impoverimento che inizia nell’Europa del centro-est per poi espandersi fino alla graduale ibridazione di due sistemi simbolici differenti: quello autoctono preindoeuropeo e quello indoeuropeo (derivato dalle steppe caucasiche). Le immagini sacre e i simboli dell’Europa Antica non furono mai del tutto sradicati: erano, e sono, impiantati troppo profondamente nella psiche. La Reggitrice di Morte, la Dea come Rapace, fu militarizzata; le dee partenogeniche (che si generavano da sé, senza l’aiuto dell’inseminazione maschile) si mutarono in fanciulle, spose e figlie, eroticizzate come risposta a un sistema patriarcale e patrilineare. Nelle successive epoche cristiane la Datrice di Vita e la Madre Terra si fusero con la Vergine Maria (la Madonna risulta ancora connessa all’acqua-di-vita, agli alberi, alle fiorite e ai fiori, ai frutti e ai raccolti); la Bianca Signora è l’immagine ancora attuale che giunge direttamente dal Neolitico di donna alta e sottile, vestita di bianco, che stride come una civetta e striscia come un serpente velenoso; l’Assassina-Rigeneratrice, personificazione dell’inverno e Madre dei Morti, diventa una strega della notte e seguace di Satana nel periodo della Grande Inquisizione.
Malgrado la guerra contro le donne e contro le loro tradizioni (come la caccia alle streghe) e la demonizzazione della Dea, la sua memoria vive ancora in fiabe e usanze: la maggior parte di noi è stata circondata durante l’infanzia da un mondo fatato che conteneva molte immagini trasmesse dall’Europa Antica. La Dea partenogenica è stata la più persistente caratteristica del repertorio archeologico del mondo antico: in Europa dominò per tutto il Paleolitico e per tutto il Neolitico, nell’Europa mediterranea per la gran parte dell’Età del Bronzo. Per il pregiudizio contro quella civiltà e la sua mondanità e a causa del rifiuto della Dea, ella si ritrasse nelle profondità delle foreste o sulle cime delle montagne, dove nelle credenze e nelle fiabe si trova tutt’oggi: “Ne conseguì quell’alienazione umana dalle radici vitali della vita terrestre i cui risultati sono palesi nella nostra attuale società. I cicli tuttavia non cessano mai di girare e adesso scopriamo la Dea riemergere dalle foreste e dai monti, portandoci speranza per il futuro”.
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